Mr.
Vendetta
è datato 2002, ma è approdato in terra
d’occidente (tradotto e distribuito) solamente
l’anno scorso, dopo il grande successo internazionale
di Old Boy
del 2004 che ha fatto da scia illuminatrice, e ha di
modo permesso a Park Chan-Wook di sfoggiare la sua trilogia
sulla vendetta alle grandi scene europee e ad un pubblico
più vasto (attualmente in Italia nelle sale Sympathy
for Lady Vengeance - Lady Vendetta, che chiude il
trittico sulla redenzione).
La trama vede Ryu, giovane sordomuto, alle prese con
un costoso trapianto di rene per curare la sorella gravemente
malata. Ryu sarà costretto al sequestro della
figlia del suo datore di lavoro per riuscire a pagare
l’operazione e salvarle la vita ma il raggiro
di un gruppo di venditori d’organi e la vendetta
del padre della piccola rapita scateneranno un giro
di ritorsioni senza pietà sulle mani dei due
protagonisti.
Il film è certamente originale nella storia e
nello stile della messa in scena, tante sono le idee
e molti gli elementi di riuscita ma Park Chan-Wook sembra
qua non riuscire a tenere a freno l’enfasi e la
creatività, mettendo forse troppa carne al fuoco
ed eseguendo un montaggio probabilmente sottotono e
poco curato. Il tutto ha una sua anima ed ha coerenza
espressiva, ma risulta nell’insieme essere confusionario
e dispersivo, relegando i personaggi più alle
loro efferate azioni che a stati d’animo innescati
dagli eventi, peccando evidentemente di superficialità
(cosa che invece non si può imputare a Old
Boy).
Tuttavia cose buone arrivano dalla Corea del Sud, questo
ormai è appurato. Dopo l’estro di Kim Ki-Duk
(Ferro 3, L’arco,
La Samaritana),
ecco quindi un altro regista di talento che si proietta,
forse a differenza del connazionale, in una visione
della realtà più concreta e coerente coi
tempi. Park Chan-Wook guarda agli Stati Uniti come unica
proiezione di un cinema valido e in continuo movimento
(«Se c’è qualcosa di valido in giro,
arriva dal cinema americano (Tarantino n.d.r.). Il cinema
italiano è morto da tempo, ormai non ha più
registi come Antonioni o un cinema di livello mondiale»).
La violenza e il cinismo dei suoi ultimi tre film deriva
sicuramente dall’algoritmo innescato tra la civiltà
metropolitana e consumistica attuale che genera attriti
e contraddizioni e la poetica teatrale ellenica che
incrocia l’antica tragedia greca («La figura
di Sofocle mi ha sempre ispirato nel mio lavoro»)
ridisegnando nuove coordinate di intrecci emotivi poggiando
anche sulla tradizione popolare o le credenze comuni.
La “nuova ondata” d’oriente (Kim Ki-Duk,
Park Chan-Wook, Wong Kar Wai, Zang Himou) ci dimostra
ancora una volta come la visione delle cose sia espressione
di una cultura e di una storia a noi poco conosciuta,
denotando un forte contrasto estetico con le opere europee.
A noi appartiene un differente modo di guardare, quello
che usiamo anche quotidianamente per registrare i fatti,
da/con occhi e angolazioni diverse, limitati dal bisogno
di spiegare sempre e tutto ad ogni gesto o comportamento.
Abituarci a guardare il mondo differentemente dall’ovvio,
usando prospettive sconosciute, scorgendo persone, strade,
cose che ci stanno attorno, è fattore di evoluzione
individuale oltre che un dato di crescita intellettuale
all’alba di un millennio di fusioni etniche ed
aperture culturali. L’oriente non ha forse segreti
da rubare, è solo sentimentalmente in attesa
di nostre amorevoli attenzioni.
A tratti e attraverso il personaggio della ragazza di
Ryu, Park Chan-Wook mette in gioco anche il suo lato
politico o comunque prende le distanze da certi comportamenti
avvertiti anche in oriente nei grandi centri abitati,
riguardo alle multinazionali e ai sistemi di controllo
monopolistico (volantini per strada). Già con
il suo precedente lavoro, Joint
Security Area, il regista sudcoreano aveva affrontato
i temi della società e della politica ma in modo
più approfondito e coinvolgente. Ma come lui
stesso afferma, la necessità di raccontare le
cose cambia col tempo, le esigenze non sono più
le stesse e ci si orienta verso nuove strade.
Mr. Vengeance non è forse un uomo, una persona.
Ma una figura labile, una proiezione oscura della vendetta
stessa. In determinati momenti della vita essa si maschera
e prende le sembianze dei suoi burattini. Li fa muovere
con arguzia e determinazione, senza la minima remora.
Con il sangue negli occhi fa rendere pari il conto delle
azioni, buone o meno che siano. Vendetta con la V maiuscola,
come un cognome, una stirpe, una generazione di discendenti
a raccontare la storia di un comportamento che da solo
non può innescarsi.
Mr. Vendetta raccoglie
nel finale elementi di una storia già respirata
e una filosofia millenaria. Morti, sangue e tristezza
rimandano alla tragedia ellenica classica e alla visione
anglosassone del teatro di Shakespeare. I fasti dell’antico
periodo dell’Impero Romano hanno invece la stessa
fine nella forte analogia tra l’ultimo delitto
e la cruenta morte in Senato di Giulio Cesare. Riallacciando
i periodi e i personaggi, i luoghi e le cause scatenanti
fino ai giorni nostri. A dimostrare che la vendetta
non ha tempo, sopravvive alle epoche e ha la faccia
qualsiasi di uno di noi. [alessandro
antonelli]