Mr. Vendetta
Sympathy for Mr. Vengeance
Regia
Park Chan-Wook
Sceneggiatura
Lee Moo-young, Lee Jong-yong, Park Ridame
Fotografia
Kim Byung-il
Montaggio
Kim Sang-beom
Musica
Bae Hyun-jin
Interpreti
Song Kang-ho, Shin Ha-kyun, Bae Doo-na
Anno
2002
Durata
121'
Nazione
Sud Corea
Genere
drammatico
Distribuzione
CJ Entertainment

Mr. Vendetta è datato 2002, ma è approdato in terra d’occidente (tradotto e distribuito) solamente l’anno scorso, dopo il grande successo internazionale di Old Boy del 2004 che ha fatto da scia illuminatrice, e ha di modo permesso a Park Chan-Wook di sfoggiare la sua trilogia sulla vendetta alle grandi scene europee e ad un pubblico più vasto (attualmente in Italia nelle sale Sympathy for Lady Vengeance - Lady Vendetta, che chiude il trittico sulla redenzione).
La trama vede Ryu, giovane sordomuto, alle prese con un costoso trapianto di rene per curare la sorella gravemente malata. Ryu sarà costretto al sequestro della figlia del suo datore di lavoro per riuscire a pagare l’operazione e salvarle la vita ma il raggiro di un gruppo di venditori d’organi e la vendetta del padre della piccola rapita scateneranno un giro di ritorsioni senza pietà sulle mani dei due protagonisti.
Il film è certamente originale nella storia e nello stile della messa in scena, tante sono le idee e molti gli elementi di riuscita ma Park Chan-Wook sembra qua non riuscire a tenere a freno l’enfasi e la creatività, mettendo forse troppa carne al fuoco ed eseguendo un montaggio probabilmente sottotono e poco curato. Il tutto ha una sua anima ed ha coerenza espressiva, ma risulta nell’insieme essere confusionario e dispersivo, relegando i personaggi più alle loro efferate azioni che a stati d’animo innescati dagli eventi, peccando evidentemente di superficialità (cosa che invece non si può imputare a Old Boy).
Tuttavia cose buone arrivano dalla Corea del Sud, questo ormai è appurato. Dopo l’estro di Kim Ki-Duk (Ferro 3, L’arco, La Samaritana), ecco quindi un altro regista di talento che si proietta, forse a differenza del connazionale, in una visione della realtà più concreta e coerente coi tempi. Park Chan-Wook guarda agli Stati Uniti come unica proiezione di un cinema valido e in continuo movimento («Se c’è qualcosa di valido in giro, arriva dal cinema americano (Tarantino n.d.r.). Il cinema italiano è morto da tempo, ormai non ha più registi come Antonioni o un cinema di livello mondiale»). La violenza e il cinismo dei suoi ultimi tre film deriva sicuramente dall’algoritmo innescato tra la civiltà metropolitana e consumistica attuale che genera attriti e contraddizioni e la poetica teatrale ellenica che incrocia l’antica tragedia greca («La figura di Sofocle mi ha sempre ispirato nel mio lavoro») ridisegnando nuove coordinate di intrecci emotivi poggiando anche sulla tradizione popolare o le credenze comuni. La “nuova ondata” d’oriente (Kim Ki-Duk, Park Chan-Wook, Wong Kar Wai, Zang Himou) ci dimostra ancora una volta come la visione delle cose sia espressione di una cultura e di una storia a noi poco conosciuta, denotando un forte contrasto estetico con le opere europee. A noi appartiene un differente modo di guardare, quello che usiamo anche quotidianamente per registrare i fatti, da/con occhi e angolazioni diverse, limitati dal bisogno di spiegare sempre e tutto ad ogni gesto o comportamento. Abituarci a guardare il mondo differentemente dall’ovvio, usando prospettive sconosciute, scorgendo persone, strade, cose che ci stanno attorno, è fattore di evoluzione individuale oltre che un dato di crescita intellettuale all’alba di un millennio di fusioni etniche ed aperture culturali. L’oriente non ha forse segreti da rubare, è solo sentimentalmente in attesa di nostre amorevoli attenzioni.
A tratti e attraverso il personaggio della ragazza di Ryu, Park Chan-Wook mette in gioco anche il suo lato politico o comunque prende le distanze da certi comportamenti avvertiti anche in oriente nei grandi centri abitati, riguardo alle multinazionali e ai sistemi di controllo monopolistico (volantini per strada). Già con il suo precedente lavoro, Joint Security Area, il regista sudcoreano aveva affrontato i temi della società e della politica ma in modo più approfondito e coinvolgente. Ma come lui stesso afferma, la necessità di raccontare le cose cambia col tempo, le esigenze non sono più le stesse e ci si orienta verso nuove strade.
Mr. Vengeance non è forse un uomo, una persona. Ma una figura labile, una proiezione oscura della vendetta stessa. In determinati momenti della vita essa si maschera e prende le sembianze dei suoi burattini. Li fa muovere con arguzia e determinazione, senza la minima remora. Con il sangue negli occhi fa rendere pari il conto delle azioni, buone o meno che siano. Vendetta con la V maiuscola, come un cognome, una stirpe, una generazione di discendenti a raccontare la storia di un comportamento che da solo non può innescarsi.
Mr. Vendetta raccoglie nel finale elementi di una storia già respirata e una filosofia millenaria. Morti, sangue e tristezza rimandano alla tragedia ellenica classica e alla visione anglosassone del teatro di Shakespeare. I fasti dell’antico periodo dell’Impero Romano hanno invece la stessa fine nella forte analogia tra l’ultimo delitto e la cruenta morte in Senato di Giulio Cesare. Riallacciando i periodi e i personaggi, i luoghi e le cause scatenanti fino ai giorni nostri. A dimostrare che la vendetta non ha tempo, sopravvive alle epoche e ha la faccia qualsiasi di uno di noi. [alessandro antonelli]