Old Boy
id.
Regia
Park Chan-Wook
Sceneggiatura
Hwang Jo-Yun, Lim Joon-Hyung, Park Chan-Wook
Fotografia
Chung Chung-Hoon
Montaggio
Kim Sang-Bum
Musica
Cho Young-Wuk
Interpreti
Choi Min-Sik, Yoo Ji-Tae, Gang Hye-Jung, Chi Dae-Han, Oh Dal-Su, Lee Seung-Shin, Oh Gwang-Rok, Lee Dae-Yun, Oh Tae-Gyung, Ahn Yeon-Suk
Anno
2004
Durata
119'
Nazione
Sud Corea
Genere
drammatico
Distribuzione
Lucky Red

Tratto da un manga giapponese creato nel 1977 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki (in Italia da ottobre edito da Coconino Press), Old Boy (Gran premio della Giuria a Cannes nel 2004) rappresenta il secondo capitolo della trilogia sulla vendetta di Park Chan-Wook dopo Sympathy for Mr Vengeance (2002) ed in attesa del capitolo conclusivo Sympathy for Lady Vengeance (2005).
Un tema assai di moda nel cinema contemporaneo, vedi il recente Kill Bill di Tarantino, ma trattato in maniera meno fumettistica, sebbene derivi da esso, ed assolutistica. Manca la dicotomica divisione tra Bene e Male assoluto; scopriremo lentamente quanto inesorabilmente che quell’uomo imprigionato una notte uggiosa senza apparente motivo e rilasciato altrettanto inspiegabilmente dopo 15 anni non è così innocente come crede/crediamo. E la vendetta che cova rabbiosa durante la prigionia non è altro che l’inconsapevole realizzazione di un’altra vendetta ancor più grande, ancor più terribile. Il racconto procede lentamente attraverso un accumulo di indizi che lo spettatore apprende insieme al protagonista, vivendo il suo stesso spaesamento e confusione tra piano di realtà (cosa è effettivamente successo) e finzione (cosa è frutto del complotto, chi è attore e chi vittima del diabolico piano di vendetta).
La vendetta genere vendetta come un ignobile circolo vizioso; la vendetta è generata dal passato, dall’impossibilità di superarlo, dall’incapacità dell'uomo di perdonare. Ma nello stesso tempo la vendetta è un sentimento che ti corrompe e ti condanna alla dannazione. Non vi è sollievo dal suo compimento, ma solo un senso totale di vuoto e inutilità.
Park Chan-Wook costruisce un dramma con accenti epici e melodrammatici su uno dei sentimenti che fa girare il mondo e guida le azioni degli uomini ma con nessuna compiacenza verso la violenza, di cui il film è pregno, e nessuna simpatia ed accondiscendenza nei confronti dei suoi personaggi. Un film che si distacca fortemente dalla sua fonte fumettistica fatta eccezione per il taglio delle inquadrature che denota una messinscena volutamente bidimensionale (vedi il piano sequenza del combattimento nel corridoio della prigione).
“Sebbene sia peggio di una bestia, non ho anche io il diritto di vivere?” Questo è il tormento che coglie in momenti diversi i vari protagonisti e che questi rivolgono a noi, spettatori giudicanti della vicenda, ed alla nostra coscienza. Tragedia epica, dramma morale, venato di una sottile ironia ed una buona dose di violenza per un film apprezzato da Tarantino (nella Giuria di Cannes che lo premiò) e che non mancherà di avere i suoi accaniti estimatori nel nostro paese. [fabio melandri]