Una corsa
disperata nella notte, sotto la piramide di vetro che è
come “uno sfregio sul volto di Parigi” come la
definisce l’Ispettore di Polizia Bezu Fache (Jean Reno),
sotto gli occhi attoniti ed indagatori di volti che rappresentano
oltre ottocento anni di storia dell’arte. E’ l’inizio
del film più atteso del momento, tratto dal romanzo
thriller di Dan Brown, vero e proprio fenomeno mediatico degli
ultimi 3 anni. Da fenomeno letterario a fenomeno cinematografico,
in una Hollywood pigra e con le sue linfe creative desertificate,
il processo è inesorabile. Un cast poliedrico e multiculturale
– dall’americano Tom Hanks, agli inglesi Ian McKellen
e Paul Bettany ai francesi Jean Reno e Audrey Tautou –
un regista solido e privo di fronzoli come Ron Howard (Apollo
13, A Beautiful Mind,
Cinderella
Man), una campagna mediatica imponente anche grazie
alla gratuita collaborazione della Chiesa, ed il gioco è
fatto.
La storia è nota e risaputa. Un efferato omicidio nel
cuore del Louvre mette in moto un meccanismo che porterà
lo studioso di simbologia religiosa Robert Langdong (Tom Hanks)
e la crittografa Sophie Neveu (Audrey Tautou) alla ricerca
del Sacro Graal, attraverso indizi sparsi nell’opera
omnia di Leonardo Da Vinci, che secondo alcune teorie avrebbe
fatto parte della congregazione del Priorato di Sion, nata
per tramandare e difendere la vera natura del Santo Graal,
ovvero la discendenza di Gesù, che si sarebbe accoppiato
con Maria Maddalena, dipinta nell’affresco dell’Ultima
Cena di Da Vinci nella figura creduta sino ad oggi San Giovanni.
Il Sacro Graal altro non sarebbe quindi che il ventre materno
della Maddalena, custode del “Sangue Reale” che
avrebbe dato origine alla Discendenza assai poco divina ma
molto umana di Gesù, il profeta.
Su questo spunto narrativo, suffragato da alcune teorie esposte
nel romanzo ma decisamente negate dalla Chiesa Ufficiale e
da altri storiografici e studiosi, si sono scatenate le polemiche
che faranno accorrere decine di milioni di spettatori nelle
sale cinematografiche di mezzo mondo. Parlatene bene, parlatene
male, l’importante è parlarne...
Tutto questo polverone ha finito col far passare in secondo
piano la dimensione artistica dell’opera, assai modesta.
Il film risulta alquanto macchinoso e verboso; tutto è
sin troppo spiegato, a partire dalla struttura narrativa sino
alla dimensione emotiva e psicologica dei personaggi. Lo sceneggiatore
Akiva Goldsman (Il cliente, A
Beautiful Mind, Io Robot,
Lost In Space) realizza un intenso
taglia e cuci dal romanzo con il risultato di ammassare informazioni
e dettagli in poche scene e dover spiegare contingenze e sottotesti
attraverso dialoghi assai sbrigativi. Non chiediamo un trattato
psicologico ma una coerenza interna ai personaggi; una verosimiglianza
con la realtà è assolutamente necessaria. Invece
la polizia francese con in testa l’Ispettore Bezu è
più inetto dell’Ispettore Zenigata del cartoon
Lupin III, Audrey Tautou e Tom Hanks spaesatissimi sembrano
perennemente chiedersi come diavolo siano potuti capitare
su quel set. L’unico che sembra divertirsi un mondo
è Ian McKellen, istrionica figura di yagonesca fattura.
Ron Howard sembra colto da Morbo di Parkinson, con una macchina
da presa in continuo movimento, con carrellate e dolly assolutamente
inutili che distraggono l’attenzione dello spettatore
dalla storia. Il mal di testa e nausea per gli spettatori
delle prime file è assicurato.
Un thriller scialbo, lento, macchinoso, privo di suspense,
dove le scene di pura azione sono tirate via quasi come un
atto dovuto a favore dello spettatore ma non dello spettacolo.
E se in un’opera di puro e dichiarato intrattenimento
e “fiction”, come hanno tenuto più volte
a sottolineare gli autori ed il cast tutto, manca la gioia
del divertimento, l’operazione non può che essere
archiviata come un fragoroso fallimento, almeno dal punto
di vista artistico. Quello economico è tutto un altro
paio di maniche... [fabio melandri]
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