Il cinema
horror americano è da anni in piena crisi, mentre all’estero,
in Europa soprattutto dopo l’esaurimento del filone
orientale, giovani autori tentano strade innovative o rielaborazioni
del genere dando origine a pellicole interessanti come Alta
Tensione, Them, Rec,
Lasciami entrare.
In America invece si procede di remake in remake, rifacendo
pedissequamente le opere europee o resuscitando icone di un
cinema ormai lontano, adattandolo al vuoto gusto delle generazioni
contemporanee. Così dopo aver resuscitato Jason Voorhees
in Halloween di
Rob Zombie, che aveva il pregio di aggiungere dettagli inediti
sulla vita del personaggio, e l’ottimo rifacimento del
cult Non aprite quella porta,
lo stesso regista di quest’ultimo Marcus Nispel ci riprova
andando a toccare la seconda (dopo Jason ed in attesa che
qualcuno riprenda in mano la figura di Freddy) figura fondante
dello slasher americano anni settanta: Michael Myers.
Venerdì 13 anno 2009,
non è ne un remake, ne un sequel, ma una sorta di rivisitazione
dell’omonimo cult movie, dove sono presenti elementi
dei primi film combinati ad alcune novità. La più
evidente è il restyling a cui è sottoposto il
personaggio di Jason, con il passaggio dal sacco che gli copriva
il volto deformato dei due primi capitoli alla maschera da
hockey del resto della serie. Il secondo elemento di novità
è data dalla sua dimensione quasi umana, una sorta
di cacciatore che vive solitario nei boschi, cibandosi di
quello che offre la terra, pronto a difendere il proprio territorio
una volta invaso da estranei. E gli estranei sono i soliti
ragazzotti sbruffoni ed arroganti, che hanno in mente sono
tre concetti: sesso, droga, alcool. E’ evidente la fine
che faranno, grazie alla stupidita recondita delle loro azioni
ed intelligenze.
Purtroppo per Nispel, il miracolo del suo precedente lavoro
non si ripete. Le morti sono rapide e portate avanti senza
troppa inventiva, mentre i momenti puramente splatter sono
assenti. Poco sangue, poca libidine sullo schermo, pochi salti
sulla poltrona e da parte solo di chi è poco avezzo
al genere. Un pubblico poco poco più smaliziato gioca
in anticipo, come il Baresi Franco di un tempo, con il regista
uscendo vittorioso da ogni contrasto. Venerdì
13 è un film che si impantana a metà
strada tra i concetti di inutile e noioso.
[fabio melandri]