Jumper
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Regia
Doug Liman
Sceneggiatura
David S. Goyer, Jim Uhls,
Simon Kinberg
Fotografia
Saar Klein, Don Zimmerman,
Dean Zimmerman
Montaggio
Roderick Jaynes
Scenografia
Oliver Scholl
Costumi
Magali Guidasci
Musica
John Powell
Interpreti
Hayden Christensen, Jamie Bell, Samuel L. Jackson, Rachel Bilson, Michael Rooker,
Diana Lane, Annasophia Robb, Max Thierot, Jesse James
Produzione
New Regency, Hypnotic
Anno
2008
Nazione
USA
Genere
fantascienza
Durata
113'
Distribuzione
20th Century Fox
Uscita
29-02-2008
Giudizio
Media

Grandi poteri, comportano grandi responsabilità… ma anche grandi tentazioni. Soprattutto se questi si manifestano quando meno te li aspetti, senza nessun “maestro” ad indirizzarli nella giusta direzione. E’ quanto accade a David Rice, che senza sapere ne come ne perché, si ritrova da prigioniero sotto le acque di un lago ghiacciato a boccheggiare nel corridoio di una biblioteca pubblica.
David è un ragazzo problematico, abbandonato dalla madre e nelle mani di un padre ubriacone. Cresce sbeffeggiato da tutti, afflitto da problemi da cui vorrebbe fuggire, fino a quando non scopre di possedere il “potere” di farlo: scappare da tutto quello che vuole evitare in qualsiasi momento lo desideri.
Perché David Rice è un Jumper, ovvero un saltatore, colui che ha la capacità di “teletrasportarsi” in un altro luogo. Esistono delle regole che noi apprendiamo confusamente insieme al personaggio durante lo sviluppo della storia. Può saltare in qualsiasi posto visibile o in un posto che si è visto in passato anche solo in fotografia e fino a quando se ne mantiene il ricordo; infilarsi nelle ‘cicatrici del salto’, squarci spazio-temporali lasciati da altri Jumper. Sì, perché David non è il solo a possedere questa facoltà. C’è ne sono altri, che cadono come foglie secche al vento sotto i colpi mortali dei Paladini, uomini addestrati alla loro eliminazione prima che questi diventino schegge impazzite nei confronti dell’autorità costituita.
Il sogno del teletrasporto di Star Trek si è evoluto ed applicato come perno centrale di quella che nelle intenzioni dei suoi autori dovrebbe evolversi in una vera e propria saga di 4/5 capitoli e rivoluzionare il cinema. Insomma siamo nel pieno dell’anno 1 d.j. (dopo jumper); non vi sentite eccitati? In realtà Jumper passerà alla storia del cinema unicamente per il fatto di aver ottenuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza Archeologica di Roma, il permesso di girare per tre giorni, non solo all’interno del Colosseo ma anche nel labirinto dell’Anfiteatro, un’area normalmente interdetta anche al pubblico. E questo, con il dollaro debole di oggi, credetemi, è una gran cosa.
Per il resto non si discosta troppo da un medio action movie incentrato sulla più classica delle storie d’amore e sul conflitto tra il protagonista ed il capo dei Paladini, un Samuel L. Jackson invecchiato e prigioniero di una pensione d’orata, grazie a ruoli da macchietta come questo.
Peccato, perché temi più originali come l’uso del super poteri al servizio del bene non comune ma personale, vengono solo accennati come quando Rice costruisce la sua fortuna teletrasportandosi all’interno dei caveau di numerose banche, ma non sviluppati.
Il regista Doug Liman, che dopo un folgorante esordio nella commedia Swingers si è impantanato in blockbuster fracassoni (The Bourne Identity) e senza anima (Mr e Mrs Smith), adotta uno stile nervoso, sincopato, confuso, attraverso l’uso ricorrente della macchina a mano e di inquadrature sghembe, fintamente approssimative. Ma Liman non è Paul Greengrass (Bloody Sunday, United 93, Bourne Ultimatum) che sull’estetica della macchina a mano ha costruito egregiamente la sua poetica.
Il risultato è un puzzle incompleto, in cui le tesserine che lo compongono sono gettate alla rinfusa all’interno di una storia troppo prigioniera del proprio ritmo e preoccupata di vomitare informazioni utili allo spettatore piuttosto che incentrarsi su personaggi, psicologie e recitazioni degni di questo nome. Splendidi paesaggi raccolti in mezzo giro del mondo ed effetti speciali sempre più elaborati sono i pilastri su cui poggia questa anemica pellicola da dimenticare in tutta fretta “teletrasportandosi” fuori dal cinema. Fatto? [fabio melandri]