A Mosca di notte un uomo malconcio e
ferito fugge nella neve pedinato dalla polizia. La neve riduce
la visibilità e rende i corpi delle macchie di colore
indistinguibili l'una dall'altra, l'occhio della macchina
da presa si muove a sbalzi, è essa stessa inseguita
e inseguitrice. L'uomo, un tempo prestante e atletico, è
braccato e senza possibilità di salvarsi. Scende all'inferno,
nei cunicoli sotterranei della linea metropolitana, i poliziotti
sono armati e gli abbaiano contro. Ma l'uomo ha ancora ottimi
riflessi e con le ultime energie che gli rimangono si scaglia
contro di loro e con una cattiveria inaudita si libera dei
poliziotti. Gli agenti numericamente superiori e meglio equipaggiati
vengono neutralizzati dalla furia vendicatrice di Jason Bourne,
l'agente della CIA senza memoria e dal troppo passato, creato
dalla penna prolifica e immaginifica di Robert Ludlum.
Siamo al terzo e ultimo capitolo della saga cominciata con
Bourne Identity e proseguita con Bourne Supremacy, dove l'archetipo
del golem viene portato alle sue estreme e adrenaliniche conseguenze.
L'intuizione degli autori che lo ha reso un successo planetario
è aver adattato il tema del golem al mondo spionistico
alla James Bond, fatto di inseguimenti in giro per il mondo,
simultaneità di tempo e di spazio, aggeggi elettronici,
ritmo sostenuto, esplosioni e sparatorie. In ebraico "golem"
è la materia grezza e nella Bibbia così era
chiamato Adamo, prima che Dio gli infondesse l'anima. Il golem
è creato attraverso una combinazione di parole magiche,
sfruttato per i lavori pesanti e in difesa di Israele contro
i nemici. Nella lettura che ne fece Meyrink, riprendendo le
leggende medievali, l'automa si ribella al suo demiurgo e
si interroga sulla sua esistenza. Come il mostro del barone
Frankenstein. Come Bourne.
Bourne è stato costruito dalla CIA per proteggere gli
Stati Uniti dai nemici esterni. Con un'operazione ai limiti
della tortura gli hanno cancellato i ricordi, lo hanno addestrato,
gli hanno fornito una nuova esistenza, polverizzando la precedente
e lo hanno gettato nel mondo. Lo hanno reso una macchina per
uccidere, un robot senza coscienza. Ma qualcosa nel meccanismo
si è inceppato e Bourne, arrivato al terzo episodio
è in grado di colpire il problema alla fonte. La CIA
è marcia, è diventato uno Stato nello Stato,
un'organizzazione paramilitare che identifica ipotetiche minacce
per la sicurezza e le stermina senza processi, tribunali o
giudici. E secondo l'etica americana che pone da sempre il
problema dell'individuo nella società basta che uno
solo dei suoi cittadini si assuma la responsabilità
delle sue azioni per impedire derive antidemocratiche. Bastava
che i soldati si ribellassero a Hitler per impedire l'olocausto
e la catastrofe della seconda guerra mondiale. L'individuo
ha una sua coscienza e ha il compito di non obbedire agli
ordini, quando questi ordini vanno contro i diritti umani
e le più elementari regole di convivenza sociale. Grazie
a questo sottofondo morale netto e profondo, un film d'azione
come Bourne Ultimatum
solleva un interesse
potente e significativo.
Articolato in cinque location, ogni sequenza è una
variante della prima. Ogni sequenza è una partita a
scacchi tra tre punti di vista che si intrecciano. Quello
di Bourne, quello del contatto da cui deve avere informazioni
per proseguire la sua caccia e la Cia che lo tiene sotto tiro.
La parte ambientata a Londra nella stazione dell'aeroporto
è esemplare, una coreografia esaltante, sembra un balletto
dove i ballerini sono gli stessi agenti che devono nascondersi
tra la folla. E nascondendosi alla folla, diventano invisibili
e sanno essere letali. Perché ciò che non vediamo
è ciò che ci spaventa di più, soprattutto
in un'epoca come la nostra dove tutto è spiato e controllato
dall'occhio eterno delle telecamere di sorveglianza.
Nonostante qualche allusione sbrigativa e fastidiosa all'attualità,
con riferimenti ai voli dell'orrore della Cia, il film si
mantiene come un robusto film d'azione, una versione attuale
e postmoderna dove ci si diverte un mondo e si rimane inchiodati
alla poltrona con estremo gusto. Matt Damon si conferma come
uno degli attori più versatili del nostro tempo, perfetto
per passare dai ruoli drammatici alle commedie ai blockbuster
fracassoni come questo. Ma a fare la parte del leone sono
David Strathairn e Albert Finney. Cattivi e spietati, duri
e mefistofelici. [matteo
cafiero]