Una
battuta dello spettacolo è illuminante: “In
Italia tutti fanno il musical. Non siete stati a teatro
di recente? Che c'è vo'”. Già,
in Italia tutti fanno il musical...
Un'azienda
italiana in crisi si appresta a ridurre il personale
e delocalizzare la produzione; le strategie contrattuali
che consentono di mantenere i lavoratori in uno stato
di precariato perenne; i tic e le nevrosi della vita
d'ufficio, trasferite in un ambiente devastato da
una ristrutturazione incompiuta. Cinque impiegati
a rischio licenziamento, allestiscono frettolosamente
una serie di sconsolanti numeri musicali, nel tentativo
di mettersi in evidenza durante una convention aziendale.
Questo
in linea di massima il contenuto della commedia musicale
“Convention! Impiegati
allo sbaraglio” che ha debuttato in prima
nazionale al Teatro della Cometa di Roma. Scritto
da Gianfranco Vergoni, musicato da Piero e Massimo
Calabresi e diretto da Fabrizio Angelini (presente
sui palcoscenici romani anche con il musical “Aladin”),
“Convention”
mostra da subito tutti i suoi limiti creativi. In
parte nella caratterizzazione dei personaggi, talmente
bidimensionali da non lasciare spazio a possibili
evoluzioni e quindi sorprese, in parte nella narrazione,
che evidenzia da subito un corto respiro adatto più
ad un'oretta di spettacolo, che alle quasi due dell'effettiva
durata.
Eppure
i protagonisti davanti e dietro il sipario sono avvezzi
al musical all'italiana. Oltre ad Angelini, l'autore
Vergoni ha riscosso un discreto successo con i due
precedenti lavori “Sotto
il cielo di Roma – Trasteverini”
e sopratutto “Nunsense”.
Sul palco poi interagiscono con Milena Miconi, che
dimostra un'evidente debolezza nella parte cantata,
Monica Dugo (“Bulli e Pupi”), Raffaele
Latagliata (“Concha
Bonita”, “Jesus
Christ Superstar”), Altea Russo (“Producers”,
“Pippi Calzelunghe”)
e sopratutto Pierpaolo Lopatriello (Geppetto nel musical
dei Pooh “Pinocchio”)
una spanna sopra gli altri.
Il
risultato è uniformemente piatto, uguale a
se stesso, senza alti ma con diversi bassi in particolare
nel secondo atto, appesantito dall'intrusione di una
voce off che dovrebbe fare da contraltare e offrire
spunti sul palco, ma che in realtà rallenta
e allunga un brodo già di per sé insipido.
Anche
i numeri musicali, troppi e troppo simili tra loro,
non emergono: appaiono come intrappolati nelle sabbie
mobili di uno spettacolo sopra le righe, pieno di
ingredienti tra i più svariati (dall'avanspettacolo,
al canto, dalle barzellette, al quiz show) e male
amalgamati. Se ne esce come dopo uno di quei pranzi
natalizi sovrabbondanti, in cui hai un senso di sazietà
ma di insoddisfazione.
Già,
in Italia ora tutti fanno il musical...
[fabio melandri]