La
stagione del Teatro Valle di Roma si è aperta
il 14 ottobre sotto il segno militante e poetico dell’arte
di Dario Fo. Questa volta il premio Nobel veste “unicamente”
i panni di regista dirigendo, tra lazzi e denunce,
Antonio Catania e Marina Massironi protagonisti di
Sottopaga! Non si paga!,
la commedia scritta dallo stesso nei primi anni Settanta.
Il racconto parte da “Il quarto stato”
il celebre dipinto di Pellizza da Volpedo che rappresenta
le classi popolari in marcia per ottenere il riconoscimento
dei loro diritti. Il pannello sul quale è riprodotta
l’opera apre e chiude la scenografia costituita
da un’angusta abitazione popolare cuore, della
vita di Antonia e Giovanni: lei licenziata da alcuni
mesi, lui operaio. Una storia di pura fantasia ispirata
dalle lamentele della strada dove le donne di Milano,
denunciando il caro prezzi, decidono di pagare la
metà della cifra imposta dalla vendita. Antonia
si trova così, suo malgrado, a partecipare
a un “esproprio proletario” in un supermercato,
cercando di tenerne all’oscuro il marito, che
preferirebbe morire di fame piuttosto che contravvenire
alla legge. Da qui prendono il via una serie di intrecci,
battute e fraintendimenti tipici della commedia dell’arte,
che ha tutta la forza della denuncia sociale.
Riemerge allora, la storica lotta tra operai e “padroni”,
le rivincite e le denunce degli eternamente poveri
contro i ricchi e potenti, la scanzonata e bonaria
presa in giro delle forze dell’ordine. Il quotidiano
diventa commedia giocosa in cui la denuncia sorride
anche un po’ di se stessa.
La contrapposizione tra leggerezza e briosità
delle gag comiche dei brillanti protagonisti e le
situazioni tragicamente realistiche proposte sulla
scena, sono un elemento tipico del genio di Dario
Fo. Un elemento volutamente attualizzato, adattando
il testo agli ultimi avvenimenti che hanno investito
e piegato l’economia mondiale; non ultimo richiamandosi,
nelle battute finali, al dramma dei mutui per l’acquisto
della casa.
Lo spettacolo scorre via placidamente grazie alla
bravura degli attori e alla perfezione del testo che
– ci tiene a sottolineare lo stesso Fo nella
breve presentazione concessa al pubblico prima dello
spettacolo – “seppure nato trent’anni
fa, parla dei giorni nostri”. Fatica però
un po’ nel secondo atto in cui la storia ormai
è svelata e si attende, trepidanti, la conclusione
della vicenda. Continua, infatti, il gioco tra situazioni
surreali, critica ai “padroni” e lamentele
di strada che si trasformano in denunce dell’attuale
crollo economico e dei suoi rischi.
Se l’attualità fosse rimasta solo come
sfondo, come sottile trama nascosta tra le battute
dei protagonisti, lo spettacolo ne avrebbe di certo
guadagnato. Perno della piéce, invece, è
l’irrinunciabile critica di Fo alla morale borghese
e l’esaltazione dei valori tipici del “quarto
stato”. Il finale, poi, come annunciato dallo
stesso regista, è stato completamente modificato
rispetto alla versione del ’74 e, dopo la chiusa
della storia, i protagonisti si alternano sul palco
commentando maliziosamente la situazione politica
e sociale dei nostri giorni.
Una conclusione dedicata soprattutto ai passionari
delle proteste contro il governo di destra, agli amanti
della polemica ad ogni costo, a coloro che non si
scandalizzano troppo per un teatro di parte e, naturalmente,
ai cultori del grande talento scenico di Dario Fo
che, nonostante le censure, riesce sempre e comunque
a comunicare.
[patrizia vitrugno]