Il resto della notte
id.
Regia
Francesco Munzi
Sceneggiatura
Francesco Munzi
Fotografia
Vladan Radovic
Montaggio
Massimo Fiocchi
Scenografia
Luca Servino
Costumi
Valentina Taviani
Musica
Giuliano Taviani
Interpreti

Sandra Ceccarelli, Aurélien Recoing, Stefano Cassetti, Laura Vasiliu, Victor Cosma,
Constantin Lupescu, Teresa Acerbis, Susy Laude

Produzione
Biancafilm, Rai Cinema
Anno
2008
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Durata
100'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
11-06-2008
Giudizio
Media

Se Gomorra e Il Divo hanno ottenuto gli scudi della ribalta in quel di Cannes, ottenendo importanti riconoscimenti di pubblico e di critica, un altro piccolo film italiano otteneva apprezzamenti in territorio francese.
Si tratta de Il resto della notte, opera seconda di quel Francesco Munzi messosi in evidenza con il suo garbato e profondo Saimir, uscito in Italia tre anni orsono, presentata nella sezione Quinzaine des Relisateurs.
La diversità, la difficile amalgama di spinte sociali e culturali differenti: Munzi ricalca i passi del suo primo film, e va a raccontare una storia ambientata ai margini della società italiana, sulla stretta linea di confine che separa la piccola malavita straniera, ma anche italiana, e la posizione agiata della classe alto borghese, simbolicamente arroccata nella classica villa in collina.
L’abilità è innanzi tutto quella di raccontare una storia, anzi più storie. Sono tre gli spaccati di vita che si intersecano nella pellicola, tre diverse strade con in comune un unico punto di arrivo. Il rumeno che si arrabatta con piccoli “lavoretti”, tentando di offrire un futuro migliore al proprio fratello minore, un italiano tossico e disadattato, che ha come unici punti fermi il figlio e la cocaina, e una famiglia benestante, che cela i propri problemi dietro un’apparenza di lusso e ostentazione.
Il regista si discosta dalle tentazioni di una lettura politico-sociologica del tema dell’immigrazione o della criminalità organizzata, per concentrarsi sui personaggi, dei quali indaga caratteri e sentimenti. Per farlo utilizza un registro da molti definito “realismo astratto”. I suoi attori parlano in lingua, sia essa straniera o dialettale, e le inquadrature, pur rifuggendo il naturalismo, sono attaccate alla materialità del reale e alle sue sfaccettature, mai edulcorate attraverso un uso ingombrante della fotografia e delle luci.
Stilisticamente e formalmente un film di valore, che ha i suoi pregi nella ricerca delle piccole cose, nel rifuggire il parlare per metafora.
Purtuttavia il plot non sostiene adeguatamente l’impianto, cadendo troppo spesso nel luogo comune, nella vicenda già confezionata e sfornata quotidianamente dalla stampa, che pur viene trattata delicatamente sotto altre prospettive.
Il retrogusto sgradevole dello stare assistendo a cose in qualche modo già viste, già canonizzate dall’immaginario collettivo, rimane, rendendo la pellicola un film si valido, ma pur sempre un passo indietro rispetto all’anticonvenzionale Saimir. [pietro salvatori]