Leoni per agnelli
Lions for Lambs
Regia
Robert Redford
Sceneggiatura
Matthew Carnahan
Fotografia
Philippe Rousselot
Montaggio
Joe Hutshing
Scenografia
Jan Roelfs
Costumi
Mary Zophres
Musica
Mark Isham
Interpreti
Robert Redford, Meryl Streep, Tom Cruise, Michael Pena, Andrew Garfield, Peter Berg
Produzione
Wildwood Enterprise, Brat Na Pont, Andell Entertainment, Cruise-Wagner Productions
Anno
2007
Nazione
USA
Genere
drammatico
Durata
88'
Distribuzione
20th Century Fox
Uscita
21-12-2007
Giudizio
Media

Durante la prima guerra mondiale, i soldati tedeschi al fronte ammiravano quelli inglesi per il loro coraggio. Erano dei leoni, ma disgraziatamente erano guidati da agnelli, generali codardi e adulti opportunisti che sprecavano quel che di meglio la giovinezza sapeva offrire. Dopo sei anni di guerra prima contro il regime talebano a Kabul e poi contro quello di Saddam Hussein in Irak, chi sono i leoni e chi sono gli agnelli?
Robert Redford e lo sceneggiatore Matthew Michael Carnahan già apprezzato per il copione di The Kingdom ragionano su questa contrapposizione dagli echi morali per certi versi simili a quella messa in scena da Paul Haggis nel suo Nella valle di Elah.
Mentre Haggis si interrogava sul paragone biblico di Davide e Golia, Redford da buon liberal affronta i temi laici che sono il pilastro della democrazia americana. E lo fa attraverso tre storie parallele.
A Washington un senatore repubblicano dal sorriso perpetuo e dallo sguardo cinico convoca nella sua sede una giornalista dalle idee politiche opposte per illustrarle la nuova strategia militare per salvare gli Stati Uniti dall'onta di una sconfitta e per sconfiggere definitivamente il terrorismo e riportare la pace nel mondo.
In Afghanistan due marines precipitano da un elicottero colpito dall'artiglieria talebana e finiscono nelle montagne a difendersi da una micidiale tormenta di neve e dagli attacchi dei ribelli in attesa dei soccorsi.
Nell'università un professore di scienze politiche di sinistra cerca di aprire gli occhi a uno studente e di motivarlo ad impegnarsi di più nello studio e a cambiare le cose in America e nel mondo, usando l'esempio di due ex allievi che scelsero di arruolarsi invece che passare il resto della vita a lamentarsi e basta.
L'impegno e la teoria. Stare seduti ad aspettare o uscire di casa e agire, giudicare il mondo da una torre d'avorio al riparo dalle intemperie, dalle cadute e dalle sconfitte o sporcarsi le mani a costo di fallire.
Il cinema di Robert Redford nel solco della tradizione hollywoodiana è tutto qui, all'insegna del pragmatismo, e sembra dirci, se ha funzionato con me perché non potrebbe funzionare con tutti. Più che un film quindi un dibattito. Robert Redford regista si sacrifica per Robert Redford attore, immobilizza il più possibile la macchina da presa, la inchioda al pavimento e riempie lo schermo di primi piani che si rivolgono allo spettatore per esporre le loro tesi. Lo spettatore più che vedere, ascolta i ragionamenti e secondo le intenzioni degli autori, al termine del film dovrebbe uscire dalla sala e risolvere quello che l'amministrazione americana e i governi occidentali non hanno risolto in sei anni di guerra. In una delle battute più felici, Meryl Streep ricorda che per sconfiggere il nazifascismo ce ne vollero di meno, ignorando bontà sua tutte le differenze che marcano questa guerra non solo da quella ma da qualsiasi altra. In un film a tesi, l'errore più grossolano che si possa commettere è sbilanciare tutto da una parte, caricare di forza e motivazioni uno solo dei due punti di vista e indebolire fino al ridicolo quello più scomodo che si vuole far perdere. Ed è ancora più fastidioso e irritante assistere ad un processo dove l'esito è scontato fin dai primi fotogrammi e prevale una visione manichea della realtà, soprattutto in un momento storico come questo in cui i fantasmi dell'undici settembre non si sono dissolti e i colpevoli e responsabili di quella strage non sono stati ancora presi ma stanno spargendo il terrore in ogni angolo del pianeta.
Redford solleva interrogativi potenti e finora poco battuti dal cinema hollywoodiano e dimostra di essere più efficace in quello che conosce e di essere al contrario più superficiale e ingenuo nel materiale che presume di conoscere. Il professore universitario e lo studente si confrontano in una dialettica stimolante e travolgente, ed è raro partecipare ad un dialogo così ben scritto e interpretato, prova di quanto gli Stati Uniti diano importanza all'istruzione. Mentre è assolutamente arrogante la rappresentazione della politica a Washington. Tom Cruise è il politico stereotipato che esce dalle prime pagine dei giornali, assetato di potere che non guarda in faccia a nessuno, pur di diventare presidente. Manipola la realtà e la usa per fini propagandistici, mente spudoratamente e illude coloro che lo hanno eletto, spacciandosi per paladino della libertà. Il giornalismo ne esce con le ossa rotte senza possibilità di riscatto, incapace di dire "Il re è nudo" come ai bei tempi del Vietnam.
E il cinema in tutto ciò dove è finito? Redford ci crede ancora quando racconta l'episodio dei due marines, metafora dell'America, ostaggio delle sue paure e di Al Qaeda. Attraverso un uso massiccio del flashback, il loro percorso da studenti primi della classe a marines patriottici che pagano con la loro vita le scelte di una nazione guerrafondaia non dà risposte scontate e mette in discussione tutti i discorsi pieni di belle parole parole del senatore e del professore che lo spettatore è costretto a sorbirsi per oltre due ore.
[matteo cafiero]