The Kingdom è il regno
sunnita d'impronta wahabita dell'Arabia Saudita, l'unico paese
arabo positivo ad avere rapporti positivi con gli Stati Uniti,
da quando una spedizione americana scoprì il petrolio
negli anni trenta invece dell'acqua. Rapporti che dopo l'undici
settembre si sono incrinati e la terra del profeta è
stata accusata su due fronti. Da una parte da Al Qaeda perché
i principi sono degli infedeli che scendono a patti col nemico
occidentale e dall'altra da Washington perché la maggior
parte degli attentatori erano di origine saudita. In questo
clima pronto a esplodere da un momento all'altro succede l'irreparabile.
In un compound a Riyadh dove vivono ingegneri americani delle
società di estrazione petrolifera con le loro famiglie
un gruppo di terroristi travestiti da militari della guardia
nazionale scatenano l'inferno, sparano ad altezza uomo, uccidendo
donne e bambini e come se non bastasse prima un kamikaze e
poi una bomba dentro un'ambulanza provocano un eccidio. Tra
i soccorritori muore anche un uomo della sicurezza dell'ambasciata
amico fraterno dell'agente speciale Ronald Fleury interpretato
da un massiccio Jamie Foxx. Mentre ai piani alti dell'Amministrazione
e della Casa Bianca si cercano le vie diplomatiche per interrompere
la catena di sangue che ha già provocato troppe guerre
in quell'area negli ultimi anni, una task force dell'FBI andando
contro le volontà dei suoi capi, parte per il luogo
dell'attentato. Le indagini si fanno complicate dal momento
che una presenza del genere è mal vista fin dall'inizio
proprio da coloro che avrebbero più bisogno del loro
aiuto. La pressione è fortissima, nessuno vuole una
deflagrazione dalle conseguenze inimmaginabili. Ma gli agenti
girano privi di armi, hanno come unico scopo quello di trovare
indizi e prove che assicurano alla giustizia i responsabili.
Si scontrano con un mondo pieno di regole e divieti. L'agente
donna si veste troppo vistosa e non può toccare i cadaveri,
e gli americani rischiano in ogni momento di mancare di rispetto
i musulmani. Le prove vengono contaminate da mani inesperte
e gli uomini dell'Fbi assistono a tutta questa mancanza di
professionalità con una frustrazione sempre più
insostenibile. La loro presenza è vista male e di fatto
non possono muoversi o girare in tranquillità nei luoghi
della strage senza che un militare saudita li tenga sotto
tiro. Il tempo passa e la settimana corre via senza che succeda
granché. La svolta accade quando Fleury applica la
tecnica di usare gli svantaggi come risorse a proprio vantaggio.
Al-Ghazi il colonnello incaricato di sorvegliarli diventa
loro confidente e li aiuta a ottenere le informazioni altrimenti
vietate a chi non è musulmano. Finalmente le indagini
prendono corpo e le prove che inchiodano Al-Qaeda alla strage
sono così evidenti che l'intera operazione va smantellata
in men che non si dica. Sull'autostrada che li riporta a casa
un nuovo attentato li costringerà a tornare indietro
e a ingaggiare una battaglia finale senza esclusione di colpi
fin dentro le case della gente, dove è impossibile
distinguere tra innocenti e assassini.
Ci sono dei film che puntano tutto su una e solo una fase
dello svolgimento drammaturgico. Sull'incidente scatenante,
sulla presentazione dei personaggi o sul conflitto della seconda
parte per citare alcuni degli innumerevoli esempi. The
Kingdom punta tutto sulla battaglia finale immediatamente
prima dell'epilogo. Succede poco nella prima ora di film.
All'inizio i temi sono alti, proiettare il trauma di Ground
Zero dentro il cuore nero del Medio Oriente, trasferirlo in
un altro posto non significa annullarlo, ma forse soddisfa
il loro universale bisogno di vendetta. Il luogo dell'attentato
poi è un microcosmo americano in terra straniera, e
metaforicamente raddoppia e moltiplica i possibili simboli
che si celano nel prologo.
Il film diventa presto un action movie, robusto e travolgente,
con una grande novità. L'idea è di ambientare
una puntata di CSI nel deserto dell'Arabia Saudita. Numerose
le sequenze dettagliate e molto tecniche con cui seguiamo
le indagini dell'FBI. Il conflitto con le autorità
locali sembra allargare il discorso a un ambito politico di
ampio respiro. Ed è una lezione di quello che gli Stati
Uniti intendono per esportazione della democrazia. Secondo
il buon Fleury il problema maggiore sono i principi che vivono
dentro regge lussuose ma sostanzialmente isolate dal resto
del paese. Nel momento in cui un qualsiasi capo di stato,
in qualsiasi modo legittimo o meno abbia ottenuto il potere,
si rinchiude in una torre d'avorio godendosi le ricchezze
del suo paese, strappandole al suo popolo, provoca un risentimento
tale che il terrorismo sarà la più prevedibile
delle soluzioni. E gli americani a quel punto come hanno sempre
fatto si appellano al senso di giustizia di quel popolo. Ma
se si infiltrano organizzazioni terroristiche che vigliaccamente
si mischiano ai civili e usano le armi più sofisticate
per combattere qualsiasi autorità costituita, allora
la catena di sangue e di vendetta non avrà mai fine.
C'è una scena in cui tutto questo viene esplicitato.
A metà film Fleury e i suoi uomini sono invitati a
cena nel palazzo principesco. E di fronte ad animali ammaestrati
e pietanze riccamente offerte, Fleury si lascia andare ad
una delle più convincenti analisi sulla politica estera
americana che sia mai stata fatta negli ultimi anni al cinema.
Dopo questa scena lungimirante e tesa, The
Kingdom piomba in un finale ad alto livello, pessimista
e molto fatalista.
Prodotto da Michael Mann e interpretato da un cast che deve
semplicemente dimostrare di non essere ridicolo con un equipaggiamento
militare addosso nel caldo del deserto arabo, The
Kingdom più che essere ricordato come un'opera
sulla guerra in Irak, sarà ricordato per una lettura
originale del lutto dell'undici settembre e per aver mostrato
le tecnica di guerriglia civile aggiornata ai tempi di Bin
Laden (dal kamikaze che si fa saltare in aria fino ai ragazzini
cecchini armati di kalashnikov dallo sguardo innocente e quindi
ancora più terribili e che rimandano a loro volta alla
scena finale del cecchino di Full Metal
Jacket). [matteo cafiero]