Si riparte
da dove finiva Hostel. Il sopravvissuto
del primo episodio è rintracciato dai funzionari della
polizia slovacca. Sotto forma di confessione, riepiloga la
puntata precedente. Ma la mano lunga dell'organizzazione Elite
Haunting non conosce frontiere e l'incubo non finirà
con un semplice risveglio. Non è un vero sequel ma
una versione femminile di Hostel
con tre donne al posto dei ragazzi e molto ma molto più
sangue e più splatter.
A differenza del primo capitolo l'iconografia di riferimento
passa dagli horror giapponesi a quelli italiani degli Anni
Settanta, visto che come sostiene la coppia Roth (regista
e autore) e Tarantino (executive producer) il cinema italiano
contemporaneo si è ridotto ad un minimalismo misero
e asfittico. Tre allieve del corso d'arte di Edwige Fenech,
insegnante in un cammeo rapido e indolore, partono per una
vacanza nel cuore di tenebra dell'Europa passata così
convulsamente dal comunismo al post capitalismo, dalla preistoria
alla contemporaneità. Le tre americane sono lo stereotipo
delle giovani, belle, ricche e affamate di trasgressione in
cerca di facili avventure. Piombate nella Repubblica Slovacca
dove regnano caos e perversione, diventano presto preda di
un'organizzazione criminale, che procura la meglio gioventù
a ricchi annoiati per farne carne da macello. La loro lotta
alla sopravvivenza sarà un viaggio nell'orrore, un
inferno di corpi smembrati e di cannibalismo allo stato puro.
Citazioni di filmacci italiani degli Anni Settanta, quando
Deodato, Lenzi e D'Amato citavano a modo loro gli horror americani
di quel periodo, Hostel 2 è
citazionismo al quadrato. Non crea e non innova Eli Roth,
ma omaggia, ricicla e scopiazza con estremo divertimento (estremo
per lui e poco per lo spettatore). Questo basta a Tarantino
per produrlo e metterci i soldi, ma non può bastare
per farci un film.
Hostel 2 è un prodotto
di cassetta girato con una qualità tecnica davvero
impressionante per lo standard del cinema di genere (godetevi
gli effetti sonori e gli effetti speciali in una sala degna
di questo nome). Dall'ostello della prima parte siamo catapultati
nelle lussuose Spa della Slovacchia. Se per i registi italiani
di trent'anni fa l'esotico era la giungla amazzonica, l'Africa
nera o i paesaggi impervi del sudest asiatico, per Eli Roth
è rappresentato dal generico paesotto Est Europeo,
dove si ballano le antiche danze slave, si beve birra a fiumi,
e nei vicoli dettano legge bande di ragazzini violenti e senza
scrupoli. Hostel 2 è una favola gotica. Perchè
l'eroina della fiaba vada incontro all'Orco, l'impulso alla
trasgressione dell'eroina stessa deve prevalere sul suo istinto
di sopravvivenza. Più che una commedia, la prima parte
sembra una parodia di quelle teen comedy tanto in voga a Hollywood.
Ma l'aria della cortina di ferro per tre americane in vacanza
è ancora tossica e melliflua. Ad ogni angolo di strada
uno slavo dall'aria accattivante e perversa vuole rapirti,
stuprarti o scroccarti qualche dollaro. Le tre protagoniste,
inespressive, acerbe e ingenue sono puro strumento passivo
nelle mani di una sceneggiatura sadica e di una regia ancora
più malata e narcisista. Quanto più si dimostrano
positive, solari e disponibili, tanto più grande sarà
la punizione per la loro positività, solarità
e disponibilità.
A questo punto la macchina del male non può fare altro
che compiere il suo destino di morte e distruzione. In una
scommessa virtuale come tante se ne trovano su internet, a
chi punta la posta più alta, avrà in premio
carne fresca e inerme da torturare e macellare a suo piacimento
in un sotterraneo da Hannibal Lecter. A vincere l'asta, un
tipico Orco del nostro tempo. Ed è su di lui che la
monotona drammaturgia concentra ogni sforzo creativo. La maschera
dell'Orco è caratterizzata da una mascella volitiva,
corpo robusto, sguardo disumano e mazza da golf. Ma questo
ha bisogno di un suo doppio, per raddoppiare la posta in gioco
e darsi un'alibi morale. La scelta cade sul fratello minore,
sfigato, sposato a una moglie in carriera, che lo frustra
e non gli fa fare tutto quello che vuole (che sostanzialmente
significa torturare e macellare liberamente la Donna castrante
e repressiva).
Siamo di fronte all'arco narrativo più efficace di
tutta la sceneggiatura, in cui il passaggio da carnefice a
vittima è più riuscito del suo opposto e sarà
la vera sorpresa finale, in un'escalation allucinante di gore
e splatter puro. Svuotata di senso, ridotta e scarnificata
come i corpi martoriati delle vittime, la trama è un
pretesto per mettere in scena una delle più macabre
coreografie dell'orrore degli ultimi anni. Lo sguardo di Roth
non è leggero e surreale come quello di un Peter Jackson,
nè scanzonato e autoironico come quello di Wes Craven,
ma diventa compiaciuto e ammiccante, aderendo gradualmente
e subdolamente sempre di più allo sguardo dell'Orco
allo scopo di aumentare l'eccitazione e l'adrenalina.
[matteo cafiero]
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