Hostel Parte II
Hostel: Part II
Regia
Eli Roth
Sceneggiatura
Eli Roth
Fotografia
Milan Chadima
Montaggio
George Folsey Jr.
Scenografia
Robb Wilson King
Costumi
Susanna Puisto
Musica
Nathan Barr
Produzione
Next Entertainment,
Raw Nerve
Interpreti
Lauren German, Roger Bart, Heather Matarazzo, Bijou Philips,
Richard Burgi, Edwige Fenech, Ruggero Deodato, Luc Merenda
Anno
2006
Genere
horror
Nazione
USA
Durata
96'
Distribuzione
Sony Pictures Releasing
Uscita
22-06-07

Si riparte da dove finiva Hostel. Il sopravvissuto del primo episodio è rintracciato dai funzionari della polizia slovacca. Sotto forma di confessione, riepiloga la puntata precedente. Ma la mano lunga dell'organizzazione Elite Haunting non conosce frontiere e l'incubo non finirà con un semplice risveglio. Non è un vero sequel ma una versione femminile di Hostel con tre donne al posto dei ragazzi e molto ma molto più sangue e più splatter.
A differenza del primo capitolo l'iconografia di riferimento passa dagli horror giapponesi a quelli italiani degli Anni Settanta, visto che come sostiene la coppia Roth (regista e autore) e Tarantino (executive producer) il cinema italiano contemporaneo si è ridotto ad un minimalismo misero e asfittico. Tre allieve del corso d'arte di Edwige Fenech, insegnante in un cammeo rapido e indolore, partono per una vacanza nel cuore di tenebra dell'Europa passata così convulsamente dal comunismo al post capitalismo, dalla preistoria alla contemporaneità. Le tre americane sono lo stereotipo delle giovani, belle, ricche e affamate di trasgressione in cerca di facili avventure. Piombate nella Repubblica Slovacca dove regnano caos e perversione, diventano presto preda di un'organizzazione criminale, che procura la meglio gioventù a ricchi annoiati per farne carne da macello. La loro lotta alla sopravvivenza sarà un viaggio nell'orrore, un inferno di corpi smembrati e di cannibalismo allo stato puro. Citazioni di filmacci italiani degli Anni Settanta, quando Deodato, Lenzi e D'Amato citavano a modo loro gli horror americani di quel periodo, Hostel 2 è citazionismo al quadrato. Non crea e non innova Eli Roth, ma omaggia, ricicla e scopiazza con estremo divertimento (estremo per lui e poco per lo spettatore). Questo basta a Tarantino per produrlo e metterci i soldi, ma non può bastare per farci un film.
Hostel 2 è un prodotto di cassetta girato con una qualità tecnica davvero impressionante per lo standard del cinema di genere (godetevi gli effetti sonori e gli effetti speciali in una sala degna di questo nome). Dall'ostello della prima parte siamo catapultati nelle lussuose Spa della Slovacchia. Se per i registi italiani di trent'anni fa l'esotico era la giungla amazzonica, l'Africa nera o i paesaggi impervi del sudest asiatico, per Eli Roth è rappresentato dal generico paesotto Est Europeo, dove si ballano le antiche danze slave, si beve birra a fiumi, e nei vicoli dettano legge bande di ragazzini violenti e senza scrupoli. Hostel 2 è una favola gotica. Perchè l'eroina della fiaba vada incontro all'Orco, l'impulso alla trasgressione dell'eroina stessa deve prevalere sul suo istinto di sopravvivenza. Più che una commedia, la prima parte sembra una parodia di quelle teen comedy tanto in voga a Hollywood. Ma l'aria della cortina di ferro per tre americane in vacanza è ancora tossica e melliflua. Ad ogni angolo di strada uno slavo dall'aria accattivante e perversa vuole rapirti, stuprarti o scroccarti qualche dollaro. Le tre protagoniste, inespressive, acerbe e ingenue sono puro strumento passivo nelle mani di una sceneggiatura sadica e di una regia ancora più malata e narcisista. Quanto più si dimostrano positive, solari e disponibili, tanto più grande sarà la punizione per la loro positività, solarità e disponibilità.
A questo punto la macchina del male non può fare altro che compiere il suo destino di morte e distruzione. In una scommessa virtuale come tante se ne trovano su internet, a chi punta la posta più alta, avrà in premio carne fresca e inerme da torturare e macellare a suo piacimento in un sotterraneo da Hannibal Lecter. A vincere l'asta, un tipico Orco del nostro tempo. Ed è su di lui che la monotona drammaturgia concentra ogni sforzo creativo. La maschera dell'Orco è caratterizzata da una mascella volitiva, corpo robusto, sguardo disumano e mazza da golf. Ma questo ha bisogno di un suo doppio, per raddoppiare la posta in gioco e darsi un'alibi morale. La scelta cade sul fratello minore, sfigato, sposato a una moglie in carriera, che lo frustra e non gli fa fare tutto quello che vuole (che sostanzialmente significa torturare e macellare liberamente la Donna castrante e repressiva).
Siamo di fronte all'arco narrativo più efficace di tutta la sceneggiatura, in cui il passaggio da carnefice a vittima è più riuscito del suo opposto e sarà la vera sorpresa finale, in un'escalation allucinante di gore e splatter puro. Svuotata di senso, ridotta e scarnificata come i corpi martoriati delle vittime, la trama è un pretesto per mettere in scena una delle più macabre coreografie dell'orrore degli ultimi anni. Lo sguardo di Roth non è leggero e surreale come quello di un Peter Jackson, nè scanzonato e autoironico come quello di Wes Craven, ma diventa compiaciuto e ammiccante, aderendo gradualmente e subdolamente sempre di più allo sguardo dell'
Orco allo scopo di aumentare l'eccitazione e l'adrenalina.
[matteo cafiero]

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