Secondo
e conclusivo episodio del doppio film (solo in America) Grindhouse,
Planet Terror è un omaggio
al cinema horror d’altri tempi, il genere contaminato
dalla fantascienza Anni Cinquanta in piena guerra fredda,
in cui l’altro, l’estraneo, il diverso era la
traslazione cinematografica del grande nemico rosso.
In pieno 2007 il peso politico svanisce completamente, rimanendo
un corpo vuoto, un giocattolo di plastica con cui dilettare
i palati meno sopraffini ed accendere i ricordi dei più
nostalgici. La trama è tanto semplice quanto pretestuosa.
Durante il turno di notte in ospedale una coppia di medici
formata da William e Dakota Block (Josh Brolin e Marley Shelton)
si ritrovano invasi da una folla di persone coperte da piaghe
cancrenose e con uno sguardo sospettosamento vacuo negli occhi.
Tra questi c’è anche Cherry (Rose McGowan), una
ballerina che lavora in un locale notturno la quale ha perso
una gamba durante un’aggressione lungo la strada. Wray
(Freddy Rodriguez), è al suo fianco e la controlla.
Pur essendo ferita, Cherry è dispiaciuta per non aver
potuto eseguire il suo ultimo numero di ballo. E mentre la
folla di invalidi si trasforma in un mucchio di aggressori
arrabbiati, Cherry e Wray si mettono alla guida di una squadra
di improvvisati guerrieri e si lanciano alla conquista della
città, decisi ad andare incontro ad un destino che
lascerà milioni di persone infettate, un numero infinito
di morti e uno sparuto gruppetto di fortunati sopravvissuti
a lottare con tutte le forze per trovare l’ultimo angolo
sicuro su Planet Terror.
L’operazione nostalgia per un cinema ed un modo di vedere
il cinema che si è andato perduto col tempo parte dal
finto trailer che apre il film: Machete. Esilarante! Purtroppo,
causa la separazione dei due corpi (Planet
Terror e A
prova di morte) dalla sua primigenia unità Grindhouse,
lo spettatore italiano si perde gli altri due falsi trailer
presenti nella versione americana (Don't
e Werewolf
Women of the SS) ma ci auguriamo recuperabili nel DVD
dell’opera. Prosegue con la sporcatura dell’immagine
attraverso guasti, rigature e divertenti perdite di rulli
che permette al film un salto temporale in avanti ed un facile
contenimento di durata del film da parte del regista. Lo spettatore
italiano perderà anche alcuni rimandi all’opera
di Tarantino presenti in questo capitolo ma coglierà
la compresenza di attori utilizzati in A
prova di morte nei medesimi (lo sceriffo) o in
diversi ruoli (la protagonista del film di Planet Terror compariva
nel film di Tarantino in un piccolo ma decisivo ruolo, a voi
riconoscerla).
Insomma un film giocattolo e cinefilo che omaggia una cinematografia
che va da Zombie a L’alba
dei morti viventi, da Terrore
dallo spazio profondo a L’invasione
degli ultracorpi sino a tutta una serie di film dementi
ma di culto targati TROMA.
“Volevo un film che fosse incentrato sui personaggi"
commenta Robert Rodriguez, factotum onnipresente del film
di cui cura oltre la regia e la sceneggiatura anche fotografia,
montaggio, musica e produzione. Conseguenza una serie di personaggi
border-line che riempiono di surreale umanità la minuscola
ed anonima città del Texas del film: il proprietario
di un’azienda ossessionato dal barbecue, uno sceriffo
stoico e sospettoso, una ballerina di night trasformatasi
in vigilante, una dottoressa dalla mano traballante che brandisce
una siringa e che fugge da un marito che la picchia, un eroe
misterioso che sfreccia a bordo di una bicicletta tascabile,
ed un paio di babysitter gemelle praticamente identiche e
psicotiche. In Planet Terror, lo scetticismo non è
semplicemente sospeso ma viene annullato. E come nel caso
di Sin City, le storie si intrecciano e si mischiano e le
circostanze toccano livelli di assurdità sfiorando
l’impossibile.
Il risultato finale è però al di sotto delle
aspettative e di A
prova di morte. Il film è un divertissment che
sembra divertire il solo regista che accentua i toni gore
e splatter della pellicola – a confronto Dal
tramonto all’alba è un film per educande
–: corpi disarticolati e smembrati, ossa spezzate, viscere
e budella che esplodono sono il menù estetico di un
film che punta tutto su forma a discapito di sostanza e contenuto.
Rodriguez usa la macchina da presa come fosse un machete su
personaggi e materiale filmico, ritrovando in parte della
mobilità che aveva tanto colpito nel suo debutto cinematografico
El mariachi tanto da porlo all’attenzione
della critica internazionale e prima di essere contaminato,
nel bene e nel male dal gran ciambellano corrispondente al
nome di Quentin Tarantino. Ma ci sentiamo in diritto e dovere
di chiedergli qualcosa di più. E’ ora di diventare
adulti.
[fabio melandri]