Avete
letto giusto, nessun errore. Tutto attaccato e senza la y
finale. E’ il titolo del nuovo film di Alessandro D’Alatri
(Senza pelle, Casomai,
La febbre) che sfida i cine-panettoni
Natale a New York e Olè,
dall’alto di un cast ottimamente composito ed assortito
ed una sceneggiatura capace di descrivere, con la libertà
di un ottava al di sopra della realtà che si pone come
suo oggetto di analisi.
Un cine-pandoro, come è stato autodefinito dal suo
autore, che getta un occhio impietoso ma comunque divertito
sull’italietta di oggi, quella del sottobosco televisivo,
in cui la bella di turno riesce ad imporsi grazie all’attenzione
del potente di turno, all’occasione un politico, Ministro
della Repubblica, alle prese con la nuova legge sulla famiglia.
Famiglia lacerata da un tradimento che per essere sottaciuto
necessità di un capro espiatorio pronto all’occorrenza,
ossia il fedele (?) autista tuttofare.
D’Alatri, insieme al co-sceneggiatore Gennaro Nunziante
con cui aveva lavorato sia per Casomai
che La febbre, costruisce un
quadro d’insieme in cui tutto funziona meravigliosamente
bene, con i protagonisti debuttanti Paolo Bonolis, il cui
unico appunto sono le troppe strizzate d'occhio all’Alberto
Sordi che fu, ed Elena Santarelli nel ruolo della rampante
starlette ed amante del potente politico; i comprimari Sergio
Rubini, Stefania Rocca e Margherita Buy, preghiera a produttori
ed autori basta ruoli in cui è una ipocondriaca depressa,
ed alle amichevoli partecipazioni in ruoli di contorno ma
mai gratuiti e sempre funzionali all’impianto narrativo
Rocco Papaleo nelle vesti del manager della Santarelli e Michele
Placido in quello di un mago della cucina usata come strumento
di seduzione.
Proprio l’amalgama tra tutto il cast, la fluidità
della messa in scena di D’Alatri - un passato nei commercials
che gli hanno forgiato un occhio attento sia all’eleganza
dell’immagine che alla funzionalità del racconto
-, una scrittura che forgia caratteri e personaggi verosimili
rispetto la vita reale, rendono questa commedia leggera e
divertente nonostante alcune forzature che spingono ad un
“volemose bene conclusivo” un po’ forzato…
ma siamo sempre a Natale, o no?
Terzo incomodo nella lotta agli incassi natalizi, ma probabilmente
quello qualitativamente superiore e quindi dall’alto
del nostro pessimismo verso il pubblico che affolla le sale
solo a Natale, onorevolmente (almeno questo ci auguriamo)
sconfitto.
[fabio melandri]
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