donna
borghese con un’educazione che in qualche modo
la frena.
E’ un personaggio atipico e nuovo per me. Per
questo motivo mi sono fidata molto della sceneggiatura
e di Alessandro D’Alatri..
Signora Buy, ancora un
ruolo di una donna vittima o schiava di psicofarmaci.
Come mai le propongono sempre questi ruoli?
Non ne ho idea, eppure nella vita reale non ne faccio
mai uso. Il mio è un personaggio disincantato
che non riesce a identificare il suo vero problema e
cerca aiuto nelle medicine.
Questo è un film
in qualche modo politico. Come conciliarlo con l’uscita
natalizia?
Alessandro D’Alatri:
Fare cinema politico è una cosa abbastanza naturale.
I miei film lo sono nella maniera in cui si occupano
della vita delle persone di cui la politica non si occupa.
Riguardo ai riferimenti a vallettopoli, nessuna preveggenza.
In Italia è facile prevedere cosa accadrà,
basta guardarsi intorno. La mia esigenza di girare questo
film, nasce dalla voglia di instaurare un contatto con
quello che viene definito, in maniera magari arcaica,
popolo. Da troppo una certa classe intellettuale si
è chiusa nei salotti perdendo questo tipo di
contatto. Con questo film ho tentato di riallacciare
questo legame.
Elena Santarelli, come
è stato questo suo debutto al cinema?
Per me è un sogno aver potuto lavorare con un
cast così eccezionale ed un regista come Alessandro.
Io nella vita ho fatto un percorso abbastanza simile
a quello del mio personaggio Martina. Da valletta per
la televisione, passando da un reality di successo sono
approdata alla fiction. Riguardo a vallettopoli io non
ho avuto esperienze di quel genere.
D’Alatri lei dipinge
in mondo della politica con una certa ferocia. Ha avuto
qualche segnale da questo mondo?
Li ho rappresentati in modo esasperato, ma come il pubblico,
la gente li vede. Ho scoperto che la commedia ha regole
precise sin dalla fase di scrittura. Si lavora in un’ottava
superiore a quella della realtà, il che ti permette
una certa libertà di reinterpretazione della
stessa.
Michele Placido, per
lei questa è stata la quinta partecipazione amichevole
in film nella veste di solo attore. Che bilancio può
fare di questa sua annata?
Innanzitutto all’inizio ero piuttosto dubbioso
se partecipare o meno a questo progetto pur avendo in
fondo un piccolo ruolo. Ma avevo innanzitutto una grande
fiducia in Bonolis, avendolo studiato come personaggio
televisivo. Alla fine è uno di quei film in cui
mi sono più divertito. Consiglierei a questo
punto ad alcuni registi così difesi da certa
critica come Amelio o Belloccio di fare di tanto in
tanto una commedia, proprio per riallacciare quel legame
con il pubblico e per aiutare il cinema italiano che
punta molto su questo genere.
Sergio Rubini come ha
costruito il suo personaggio?
La chiave me l’ha data Alessandro, quando mi ha
parlato dell’idea dela maschera, una maschera
con molta umanità. Poi mi sono fidato e rimesso
nelle mani di Alessandro. La sceneggiatura è
in fin dei conti come l’arredamento di una casa.
Il vero padrone di casa è invece il regista e
quindi la sceneggiatura un suo problema. Io comunque
da tempo volevo fare un film con Alessandro e mi è
bastato sapere che era coinvolto lui per accettare la
parte.
In Olè si sono
fatti riferimenti a Totò e Peppino, in Commediasexi
ad Alberto Sordi. Ma la commedia italiana deve per forza
di cose guardare al suo passato? Come mai poi la scelta
di Bonolis?
Alessandro
D’Alatri:
Più che andare indietro,
bisogna guardare avanti, senza dimenticare però
le proprie radici, senza le quali si è condannati
ad un non-futuro. Io cerco di costruire ed elaborare
nuovi tasselli all’interno di quel percorso. Riguardo
a Paolo, io ho scritto il film penando esclusivamente
a lui. Sfortunatamente molti attori di commedia sono
anche produttori ed autori di e stessi. Fare film con
loro diventa impossibile, così sono costretto
a guardarmi intorno e cercare nuove vie. E’ stato
lo stesso con Fabio Volo, personaggio televisivo, con
Kim Rossi Stuart che aveva fatto Fantaghirò e
la Ferilli stessa. Ma io non faccio grandi distinzioni.
Per me il talento è talento, ovunque si manifesti.
Bonolis qual è
stato il suo primo pensiero quando le fu proposto il
progetto?
Questo è matto! Alessandro è un grande
affabulatore ed ha una spiccata capacità di coinvolgimento
a livello emotivo. Per me è stata un’esperienza
diabolica. Il cinema è una sorta di camera gestazionaria,
necessita tempi piuttosto lunghi rispetto a quelli della
televisione. Ma ho voluto provare questa esperienza
perché il cinema mi piace.
Nella battaglia di Natale
siete il terzo incomodo. Cosa vi aspettate?
Alessandro
D’Alatri:
Una concorrenza diretta in realtà non c’è.
Il nostro è un pandoro, diverso dai cinepanettoni,
per un pubblico a cui non piacciono i canditi. E’
un gusto diverso che proponiamo al pubblico del Natale.