Durante l’infanzia, Luc Jacquet ha trascorso il suo tempo ad inerpicarsi sulle montagne dell’Ain (nel sud del Giura), inizialmente seguendo la sua famiglia che gli trasmette la sua passione per la natura, poi da solo per il gusto dell’avventura e della scoperta.
Come dice lui stesso, ama «vagabondare», perdersi nei boschi, per il piacere di conoscere cose nuove. E’ lì che scopre il piacere di perdersi nella natura per osservare il mondo segreto degli animali e delle piante nel corso delle stagioni.
Da studente, è attratto da un approccio scientifico: nel 1991, si laurea in biologia animale all’università di Lyon I. Nel 1993, preparerà poi un dottorato in gestione degli ambienti naturali montuosi all’università di Grenoble. Durante la sua formazione scientifica, partecipa a numerose spedizioni aventi come scopo lo studio del comportamento animale e della vita di specie diverse.
E’ nell’ambito della sua formazione scientifica che ha l’opportunità di partire per un primo viaggio in Antartide che dura quattordici mesi. A 24 anni parte così per la missione ornitologico-ecologica polare per il CNRS (Centro Nazionale di Ricerca Scientifica), e soggiorna presso la base francese Dumont d’Urville.
Durante questa missione, si assicura anche il ruolo di cameraman per il film Le congrès des pingouins del regista svizzero H.U. Schlumpf. E’ così che scopre la sua passione per l’immagine: abbandona la sua carriera scientifica e, incoraggiato da H.U. Schlumpf, comincia la sua carriera da cineasta come operatore per documentari sugli animali. Realizza numerose riprese e, dopo essere stato assistente alla regia e alla fotografia, Luc Jacquet passa alla regia.
La maggior parte dei suoi documentari saranno realizzati in Antartide o su isole dell’emisfero australe: conquistato da queste terre magiche, passerà in tutto tre anni sotto il 40° grado di latitudine sud.
Da questi molteplici soggiorni nel sesto continente nascerà il suo primo lungometraggio, La Marcia dei Pinguini, l’incredibile storia del popolo dei pinguini imperatore che sopravvivono nelle condizioni climatiche più estreme del pianeta.
Dopo il successo mondiale di questo primo film, Luc Jacquet realizza un altro progetto che ha a cuore da molto tempo, un ricordo autobiografico, quello dell’incontro tra una volpe e una bambina.

La Volpe e la Bambina sembra ripercorrere la sua infanzia nelle montagne dell’Ain.
Da bambino, passavo il tempo correndo nei boschi. Partivo col mio zaino e un bastone di nocciolo verso l’avventura. Qualsiasi cosa era un pretesto per poter correre nella natura: i funghi, le noci, le bacche, andare a vedere il Monte Bianco dalla cima di una cresta. Ho cominciato a crearmi un mondo tutto mio, ad alzare lo sguardo, a provare piacere nell’osservare, nell’ascoltare il canto degli uccelli. E poi, un giorno, ci si imbatte in una volpe e trent’anni dopo si finisce per farne un film!
In fondo tutto ha inizio da un’emozione estremamente semplice, l’incontro con un animale selvatico, che matura nel corso del tempo fino a prendere la forma di un racconto. E’ sorprendente constatare come questo semplice, piccolo evento abbia potuto segnare qualcuno per tutta la vita.
Da molto tempo avevo voglia di raccontare questo incontro straordinariamente vivo nella mia memoria. Era venuto il momento di condividerlo, mostrando quello che amo, il paese dove sono cresciuto, le montagne dell’Ain.

Si ricorda del suo primo incontro con la volpe?
Benissimo, l’immagine è scolpita per sempre nella mia mente. Era primavera, periodo dei miei funghi preferiti, i prugnoli primaverili. Ero arrivato in una grande radura circondata da abeti. La volpe non mi aveva visto, concentrata com’era sulla sua caccia. Non avevo mai potuto osservarne una così a lungo. Ho avuto l’irrefrenabile impulso di avvicinarmi a lei. Ogni passo verso di lei era come una scommessa. Più avanzavo e più avevo paura che fuggisse. Ce l’ho ancora perfettamente davanti agli occhi, sento ancora oggi l’emozione di quell’istante. Si è girata, mi ha guardato con un’intensità che mi ha sconvolto, ed è fuggita via. E’ la prima scena del film.

I vostri sguardi si sono incontrati, come nel film?
E’ stato come un attimo sospeso di completo stupore. Ho amato molto quell’incredibile tensione. Perché ha acconsentito a restare a pochi passi da me? Avrebbe dovuto scappare. La regola era stata infranta e per la durata di un secondo c’è stato uno scambio, una comunicazione tra due mondi, tra due esseri diversi e allo stesso tempo simili.

Cosa è successo dopo?
Sono tornato il giorno dopo, i giorni successivi, convinto che sarebbe stata lì. Spinto da un desiderio folle, volevo cercare di ritrovarla per avvicinarmi di nuovo a lei. Non l’ho mai più rivista pur avendo la sensazione, ogni volta che tornavo il quel posto, di poterla rivedere. L’ho cercata, a lungo. Questa ricerca mi ha portato in luoghi insoliti, mi ha spinto ad uscire dai sentieri battuti. Mi ha portato a scoprire paesaggi diversi, ad andare verso l’ignoto. Mi è sempre piaciuta molto questa idea di perdermi vicino a casa mia, di lasciarmi condurre dai miei passi, di pensare che questa volpe fosse diventata la mia maestra di vagabondaggio.

Come si passa da un ricordo a un film?
Dopo La Marcia dei Pinguini e i ghiacci dell’Antartide, avevo voglia di raccontare qualcosa di meraviglioso con una storia che si svolgesse dietro casa mia, nei prati e nei boschi. In fondo, non c’è bisogno di andare lontano per stupirsi, è solo questione di come si guardano le cose.
Ho l’impressione che al giorno d’oggi abbiamo perso questa capacità di stupirci. Abbiamo perso quell’intima relazione che avevamo con la natura, che è ormai quasi esotica per la gente di città che siamo diventati. Io ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente rurale, di girare il mondo, di vivere in grandi città e di esplorare la natura da un punto di vista scientifico. Il cinema mi dà oggi i mezzi per integrare tutte queste esperienze e poterle così condividere.

Verso quale nuova destinazione ha deciso di portarci?
Lo straordinario viaggio proposto da questo film è quello attraverso la natura, per come essa si mostra quando si resta immobili per ore cercando di far dimenticare la propria presenza. Questo film avrebbe potuto intitolarsi «Seduto sull’erba!». Ricordo ancora le sensazioni della contemplazione pura. Resta solo il piacere provato e il fatto di aver vissuto un’avventura straordinaria. Viviamo una strana maledizione: quando un essere umano penetra in una foresta, c’è come un tam-tam che trasmette a tutti i suoi abitanti l’arrivo di una presenza nemica! Ho voluto, come la bambina del film, annullare questa maledizione.
Scopo del film è quello di mostrare la natura così com’è, quando non siamo lì ad osservarla. E’ tutto qui. Seguendo prima la volpe e poi la bambina, il film offre uno spettacolo al quale non si può avere accesso, se non passando giorni e giorni in un luogo di appostamento.

E’ possibile far sognare attraverso paesaggi familiari?
E’ questa la scommessa del film: far sognare gli spettatori con paesaggi che conoscono. E’ più facile meravigliare il pubblico con gli iceberg, che sono straordinari come tutto ciò che è inaccessibile. Qui volevo poter raccontare dei momenti di felicità, dei semplici piaceri che ci fanno stare bene e che sono accessibili a tutti.
La natura si concede a noi solo quando noi ci concediamo del tempo per contemplarla. Allora tutto si anima, lo sguardo attento coglie moltissime cose. Avevo voglia di comunicare alla gente il semplice piacere di stare in mezzo alla natura.

Si tratta di una passeggiata in un mondo ideale?
Direi che il film compone un paesaggio ideale mettendo insieme scorci naturali presi da luoghi spesso molto distanti gli uni dagli altri. Lavorando nel cinema, ho anche il vantaggio di poter ricostruire una geografia ideale.
Ho giocato molto sulle proporzioni. La natura percepita attraverso gli occhi di una bambina o di una volpe non è più la stessa. Al loro livello, i paesaggi cambiano dimensione, tutto diventa più impressionante, più fantastico, e una semplice cascata può diventare imponente. Ho cercato anche di mantenere lo sguardo meravigliato di un bambino davanti alla natura di un tempo, popolata di orsi, di linci e di lupi, come quella che c’era cento o duecento anni fa.

Come descrive questa natura dal suo punto di vista?
Mi piace molto l’idea di occhiali magici in grado di farci entrare in mondi diversi, secondo il tipo di lenti utilizzate. Lo strumento attraverso il quale si osserva modifica la percezione del mondo che ci circonda, cambia la prospettiva. Con un microscopio mi immergo nel mondo dei batteri, con un telescopio viaggio nell’universo, con una cinepresa messa al livello del suolo entro nel mondo della volpe. Ogni film è come un nuovo paio di occhiali, in un certo senso.

La Volpe e la Bambina è sviluppato seguendo un’idea precisa molto stilizzata?
E’ un racconto. E un racconto è la forma che ha una storia semplice quando è narrata con parole semplici. Il racconto deve parlare a tutti. Che sia palese o nascosto, l’intendimento dei racconti costituisce spesso la base delle riflessioni dei bambini. La Volpe e la Bambina tratta del rispetto della natura, del rispetto dell’altro, dei limiti da non superare per non snaturare ciò che, più di tutto, si desidera possedere.
E’ per questo che tutto ciò che non attiene al rapporto tra la bambina e la volpe è stato solo suggerito. E’ un modo per concentrarsi sulla problematica sviluppata dal film. Inoltre, mi sembra che le cose più sono spoglie più trasmettono in termini di significato e di emozioni. In questa storia l’epoca non ha importanza, quello che conta è il rapporto che si è stabilito tra un essere umano e un animale, quello che succede e quello che non può succedere.

Questo film era in programma dopo il successo de La Marcia dei Pinguini?
Questo progetto mi stava a cuore da moltissimo tempo. Avevo scritto la sinossi de La Volpe e la Bambina molto tempo prima de La Marcia dei Pinguini. Dopo l’ebbrezza della promozione e delle premiazioni, ero contento di poter sviluppare questo progetto personale che aveva avuto il tempo di maturare. E’ un soggetto per il quale non dovevo chiedermi se sarebbe stato altrettanto o meno buono de La Marcia dei Pinguini. Il successo mi ha dato la possibilità di raccontare questa storia fatta di piccoli piaceri, che tuttavia, paradossalmente, richiedeva mezzi notevoli.

Come è andata la scrittura della sceneggiatura?
Amo la leggerezza offerta da carta e penna rispetto ai mezzi necessari per girare un film. Per far emergere la storia interiore, ho fatto inizialmente il mio percorso da solo. Eric Rognard si è poi affiancato come co-sceneggiatore. Ne è nata una proficua complicità. Abbiamo cercato di dar vita ad una storia forte, pur rispettando la verosimiglianza del comportamento di una volpe. Avevamo bisogno di inventare un percorso credibile dal punto di vista dell’animale, cercando allo stesso tempo degli spunti drammatici legati alla questione dell’addomesticamento.
A livello narrativo ho preferito che questa storia venisse raccontata. E’ la bambina, diventata adulta, che, con qualche frase, ci fa condividere il suo percorso.

In che cosa è insolita la sceneggiatura de La Volpe e la Bambina?
E’ una sceneggiatura classica con scene e personaggi. La sua originalità consiste nel fatto che i suoi personaggi, una bambina, un animale e la natura, non comunicano attraverso i dialoghi. E’ stato necessario inventare per ciascuno di essi una partitura che fosse credibile, con il mutare delle stagioni e con il crescere del desiderio della bambina di scoprire e di condividere la vita di questa volpe.

La scrittura cinematografica è diversa da quella de La Marcia dei Pinguini?
E’ addirittura diametralmente opposta. Con i pinguini ho raccontato una storia già scritta dalla natura. Con la volpe ho scritto una storia per raccontare la natura della mia infanzia, e ci siamo procurati i mezzi per trasformarla in immagini. Ne La Marcia dei Pinguini eravamo nel campo della registrazione della realtà, mentre sapevo che le riprese de La Volpe e la Bambina sarebbero state una combinazione di messa in scena e di documentario: una parte naturale per riflettere i comportamenti della volpe e una parte di messa in scena per ciò che riguardava la bambina.

Dove l’hanno condotta le sue prime riflessioni quando ha deciso di portare a termine il film?
Il punto di partenza era quello di trovare gli scenari per questa storia. Volevo girare il film su montagne di media altezza, proseguire in paesaggi dolci, che non fossero troppo selvaggi. Una prima ricerca delle location è stata fatta da Jérôme Bouvier. Come me è stato un operatore di ripresa, ha la mia stessa sensibilità. Ha fatto il giro dell’Europa con l’obiettivo di scoprire dei luoghi meravigliosi, pieni di volpi e grandi foreste. In Francia ha esplorato diversi paesaggi partendo dall’Haut-Doubs e scendendo fino nella Chartreuse. E’ poi andato in Norvegia, Slovenia, Romania, Ungheria, prima di finire con l’Italia.
Alla fine abbiamo scelto di girare in due regioni: nell’Ain, nei dintorni dell’altopiano del Retord, e nel cuore dell’Italia, in Abruzzo.
L’altopiano del Retord è il paesaggio che ha fatto da sfondo alla mia infanzia; conosco quasi ogni singolo metro quadrato per un raggio di venti chilometri. La troupe mi ha convinto a girare in questi scenari. Quanto a me, non ci pensavo più e cercavo lontano quello che avevo sotto il naso.
La seconda location è nel parco nazionale d’Abruzzo. E’ un luogo stupefacente, una delle più antiche zone protette d’Europa, nella quale si trovano ancora lupi, orsi e tutta la grande fauna europea. Questi animali vivono in boschi di faggi dalle forme fantastiche che, nel corso dei secoli, hanno raggiunto un’altezza incredibile.

Una volta scelti i luoghi in cui girare, come avete proceduto?
Abbiamo mandato in Abruzzo una squadra di quattro persone con il compito di osservare e di filmare per sei mesi delle volpi selvatiche nel loro ambiente. L’idea era quella di stabilire un rapporto con quelle volpi che, non essendo più cacciate da oltre cento anni, sono le meno aggressive d’Europa. Questa squadra osservava anche i loro comportamenti che sono serviti da nodi drammatici nella sceneggiatura che stavamo scrivendo in parallelo. Sono stati loro, per esempio, a scoprire che le volpi in primavera fanno banchetti di piante di zafferano; ho trovato l’idea divertente e l’ho inserita nel film. Il lavoro di questa squadra ha fruttato una straordinaria ricchezza di riprese quotidiane (le stagioni, gli acquazzoni, il vento tra gli alberi, i lupi, gli orsi).
Parallelamente noi ci siamo preparati per le riprese che utilizzano le tecniche classiche della messa in scena. Ci siamo istallati nelle montagne dell’Ain. La tenuta della Lavanche, edificio tradizionale circondato da una natura superba, ci è servita da palcoscenico, e le riprese hanno avuto inizio. Le riprese sono andate avanti per tutte le quattro stagioni. Questo vuol dire che ogni mattina la troupe si ritrovava in piena natura, in una radura o in una prateria, che piovesse, nevicasse o ci fosse vento. La meteorologia non sempre è una scienza esatta e ci si è dovuti adattare. Rimanere una trentina di settimane nella natura ci ha resi percettivi rispetto alle sue più piccole manifestazioni.

Ci parli della troupe che l’ha accompagnata in questa avventura
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Per raccontare questi ricordi d’infanzia di un ragazzino seduto nell’erba, ci sarà voluta una quarantina di persone a tempo pieno. La particolarità è la composizione della troupe: alcuni venivano dal documentario, altri dal cinema tradizionale, come Gérard Simon, il direttore della fotografia, e altri ancora da quella cosa in cui sono specializzati i francesi che sono i documentari sugli animali per il grande schermo, come il mio assistente Vincent Steiger, che gira il mondo per organizzare riprese come quelle per Il Popolo Migratore o Il Grande Nord. La scommessa era quella di unire approcci diversi per coniugare la semplicità del documentario con le dure esigenze della fiction.

Come avete lavorato?
Ho avuto la fortuna di essere circondato da gente in gamba. E’ il più bel regalo che mi ha fatto La Marcia dei Pinguini: poter lavorare con artisti e artigiani che formano una squadra formidabile. Trovare il modo di capirsi ha richiesto pochissimo tempo. Spiegare ad una squadra dopo una preparazione di due giorni che è impossibile girare la sequenza perché magari la volpe è di cattivo umore, può essere una cosa piuttosto difficile.
Invece quando questa stessa squadra mette tutta la sua energia al servizio del tuo sogno, e lo fa con creatività ed entusiasmo, allora è magnifico. Ogni mattina ciascuno dimostrava la sua eccezionale capacità di adattamento, la sua pazienza e la sua inventiva.

Perché la volpe e non un altro animale?
E’ una scelta personale, amo quest’animale. C’è ovviamente anche l’eco del mio incontro con lei, ma è anche, tra gli animali delle nostre foreste, quello che mi attrae di più. Portare la volpe, questo personaggio eternamente di secondo piano, nella parte alta del manifesto, facendole incarnare il mondo animale, era una scommessa eccitante. Altri rappresentanti della fauna europea, tassi, ricci e ermellini, e anche lupi, orsi e linci completano il cast in altrettanti ruoli secondari.
Filmare la volpe è anche una sfida speciale. Prima di queste riprese mi era capitato di aspettare ore prima che una volpe uscisse dalla sua tana, per vederla poi tagliare furtivamente la corda da un’altra via d’uscita.
E, per finire, la volpe mi sembra l’animale ideale per esplorare il legame conflittuale e paradossale che unisce l’uomo all’animale selvatico. La volpe ha in sé un paradosso: da una parte è un animale cacciato che scappa via non appena ci identifica come predatori, dall’altra è anche un animale curioso e pragmatico che non esita ad avvicinarsi alle abitazioni dell’uomo. Si sentono spesso gli abitanti delle zone di villini residenziali raccontare del loro incontro con una volpe che ha appena preso il cibo dalle loro mani, proprio in fondo al loro giardino. E’ un animale seducente che mette a dura prova il nostro bisogno di affetto possessivo, perché può sparire per settimane prima di tornare a farti visita. E’ il soggetto ideale per riflettere sull’idea di addomesticamento. Popolazioni intere di volpi si sono istallate nel cuore delle metropoli occidentali. Credo che la volpe e l’uomo siano accomunati da un interesse e da una curiosità che mi sembrano reciproci.

E la volpe si è rivelata essere una buona attrice?
E’ un personaggio interessante per mille ragioni. La volpe è estremamente estroversa, è vivace e molto generosa in alcuni dei suoi comportamenti. Inoltre possiamo leggere senza grandi sforzi le sue espressioni. Il suo modo di comunicare non è molto diverso da quello del cane, molti dei suoi comportamenti ci appaiono espliciti.
E’ anche un animale estremamente plastico, capace di adattarsi a numerose situazioni. Sotto questo aspetto è cinematograficamente interessante. La volpe può adattarsi a qualsiasi cosa richiedano la struttura e la narrazione del film.

Non è un’attrice troppo imprevedibile?
E’ proprio questo il problema. E, dopo più di sei mesi di riprese, possiamo confermarlo: non si può far fare ad una volpe quello che non vuole fare. E’ sempre la volpe a decidere. Alla fine si stabilisce abbastanza facilmente una relazione intensa con una volpe ma, comunque, l’uomo deve accettare che la volpe vada e venga come le pare e piace.

Come ha trovato la protagonista ideale?
Non l’abbiamo trovata. Non è solo una la volpe con la quale abbiamo girato, ma molte. Avevano tutte caratteri diversi e personalità particolari. Erano sia delle volpi selvatiche filmate dalla troupe appostata nel parco d’Abruzzo, sia delle volpi attrici scovate da Pascal Tréguy, il responsabile per gli animali.

Ha fatto una specie di casting?
Pascal Tréguy ha dedicato molto tempo a cercare delle volpi allevate fin dalla nascita e cresciute a contatto con l’uomo. Durante le sue ricerche ha incontrato un sacco di gente che ha una o più volpi. E’ così che ha scoperto Marie-Noëlle Baroni. Lei lavora da anni preparando spettacoli per bambini con alcune volpi. Marie-Noëlle e i suoi animali si sono unite alla squadra per gli animali di Pascal Tréguy. Entrambi, oltre ad essere dei professionisti riconosciuti, condividono la stessa etica in sintonia con la filosofia del film.
Gli animali che hanno scelto di far lavorare hanno conservato il loro comportamento naturale, pur trovandosi in presenza di una troupe numerosa. Il loro talento è consistito nel capire il carattere e il temperamento di ciascuna volpe, per farle interpretare una scena piuttosto che un’altra. Tra le volpi attrici, alcune erano molto sensibili al minimo disturbo; si girava allora con una troupe ridotta al minimo e una sola cinepresa con una focale lunga. Altre erano piuttosto amichevoli e, arrivando sull’altopiano al mattino, salutavano la troupe.

Come si fa per ottenere da loro delle espressioni che raccontino la loro storia?
Tutte le scene della sceneggiatura sviluppano solo comportamenti naturali. Quando la volpe non andava bene, questo si sentiva, come per un attore quando è fuori parte. Ci trovavamo di fronte a vere e proprie attrici. Ci si preoccupava del loro umore. Alcuni giorni si leggeva nel loro sguardo che non avevano voglia di lavorare. In primavera, per esempio, quando la natura si risveglia, la volpe, come gli altri animali, ha un po’ la testa da un’altra parte. La volpe ha un côté da diva: se non si è decisa, puoi chiederle qualsiasi cosa, non succederà niente. Bisogna rispettarla e non superare i limiti per non rischiare di ritrovarsi a mani vuote.
Abbiamo avuto qualche sorpresa. Ad esempio, avevo visto delle volpi selvatiche attraversare i fiumi e cercare di acchiappare delle rane, ma in mezzo a tutte le nostre volpi non ce n’era nessuna che sembrasse apprezzare particolarmente l’acqua. Spesso è stato necessario giocare con la volpe a chi è più furbo per arrivare in fondo ad alcune scene, che pure erano ispirate a ciò che avevo osservato in natura.

Perché scegliere una bambina?
Quando ho cercato di proiettarmi indietro di 30 anni, ho ritrovato l’immagine di un ragazzino che con un bastone in mano giocava a fare Davy Crockett o ai cow-boys. A dieci anni i maschietti si credono i più forti, sono preda del desiderio di impossessarsi delle cose. Immagino che una ragazzina cerchi meno di dominare, sia più disponibile ad ascoltare, più incline a sedurre. L’approccio femminile mi sembrava più in sintonia con lo stupore, il che costituisce una delle molle del film.
Sentivo che se la storia fosse stata raccontata da una donna, si sarebbe potuti entrare in un mondo in cui l’emozione, la dolcezza e la natura materna avrebbero controbilanciato l’aspetto avventuroso del racconto.

Come ha trovato la giovane attrice?
Non cercavo un archetipo, ma piuttosto una personalità petulante, quasi birichina. Abbiamo incontrato centinaia di ragazzine, senza avere idee a priori sul colore dei capelli, sul fisico o sull’altezza. Volevo una ragazzina molto simile agli animali, a suo agio nella natura… ed è arrivata Bertille.

Quali sono state le prime impressioni durante le prove?
Con la sua discrezione, la sua segretezza, Bertille incarna un piccolo mistero. Lei ha un profilo e un viso molto particolari. Volevo che non cambiasse, che rimanesse uguale per tutto il film. L’idea era di fare di lei un’immagine senza tempo. Lei ha veramente avuto la capacità di calarsi in questo personaggio, di delinearlo in tutti i suoi aspetti.
Bertille ha un’incredibile forza in quello che dà, e dà soltanto quello che ha capito e fatto suo. Poteva contare solo su pochi dialoghi e nessun attore con il quale recitare. Inoltre era necessario che portasse la volpe verso determinate situazioni, continuando però a pensare al proprio ruolo. L’ha fatto, e questo è prodigioso.

Come è andata, visto che il suo ruolo consiste tutto in espressioni?
Bisognava proprio che avesse talento nella recitazione per esprimere le sue emozioni. Per lei è stata davvero dura, nonostante la sua tenacia e il suo carattere forte. Abbiamo lavorato insieme. Ciascuno di noi ha fatto un tratto di strada, io ho dovuto imparare a parlarle, ad essere chiaro, lei ha dovuto fare un vero sforzo di esteriorizzazione e, nel corso delle settimane, si è imposta come un’attrice attenta.
Ha imparato a lavorare con gli animali, aiutata in questo da Marie-Noëlle Baroni, che ha la capacità di mettere in contatto bambini ed animali. Le volpi non sono state sempre tenere con Bertille, ma lei è stata paziente. Le condizioni delle riprese erano difficili, eravamo sempre all’aperto.

 
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