Durante l’infanzia,
Luc Jacquet ha trascorso il suo tempo ad inerpicarsi sulle
montagne dell’Ain (nel sud del Giura), inizialmente
seguendo la sua famiglia che gli trasmette la sua passione
per la natura, poi da solo per il gusto dell’avventura
e della scoperta.
Come dice lui stesso, ama «vagabondare», perdersi
nei boschi, per il piacere di conoscere cose nuove. E’
lì che scopre il piacere di perdersi nella natura
per osservare il mondo segreto degli animali e delle piante
nel corso delle stagioni.
Da studente, è attratto da un approccio scientifico:
nel 1991, si laurea in biologia animale all’università
di Lyon I. Nel 1993, preparerà poi un dottorato
in gestione degli ambienti naturali montuosi all’università
di Grenoble. Durante la sua formazione scientifica, partecipa
a numerose spedizioni aventi come scopo lo studio del
comportamento animale e della vita di specie diverse.
E’ nell’ambito della sua formazione scientifica
che ha l’opportunità di partire per un primo
viaggio in Antartide che dura quattordici mesi. A 24 anni
parte così per la missione ornitologico-ecologica
polare per il CNRS (Centro Nazionale di Ricerca Scientifica),
e soggiorna presso la base francese Dumont d’Urville.
Durante questa missione, si assicura anche il ruolo di
cameraman per il film Le congrès des pingouins
del regista svizzero H.U. Schlumpf. E’ così
che scopre la sua passione per l’immagine: abbandona
la sua carriera scientifica e, incoraggiato da H.U. Schlumpf,
comincia la sua carriera da cineasta come operatore per
documentari sugli animali. Realizza numerose riprese e,
dopo essere stato assistente alla regia e alla fotografia,
Luc Jacquet passa alla regia.
La maggior parte dei suoi documentari saranno realizzati
in Antartide o su isole dell’emisfero australe:
conquistato da queste terre magiche, passerà in
tutto tre anni sotto il 40° grado di latitudine sud.
Da questi molteplici soggiorni nel sesto continente nascerà
il suo primo lungometraggio, La
Marcia dei Pinguini, l’incredibile storia del
popolo dei pinguini imperatore che sopravvivono nelle
condizioni climatiche più estreme del pianeta.
Dopo il successo mondiale di questo primo film, Luc Jacquet
realizza un altro progetto che ha a cuore da molto tempo,
un ricordo autobiografico, quello dell’incontro
tra una volpe e una bambina.
La
Volpe e la Bambina sembra ripercorrere la sua infanzia
nelle montagne dell’Ain.
Da bambino, passavo il tempo correndo nei boschi. Partivo
col mio zaino e un bastone di nocciolo verso l’avventura.
Qualsiasi cosa era un pretesto per poter correre nella
natura: i funghi, le noci, le bacche, andare a vedere
il Monte Bianco dalla cima di una cresta. Ho cominciato
a crearmi un mondo tutto mio, ad alzare lo sguardo, a
provare piacere nell’osservare, nell’ascoltare
il canto degli uccelli. E poi, un giorno, ci si imbatte
in una volpe e trent’anni dopo si finisce per farne
un film!
In fondo tutto ha inizio da un’emozione estremamente
semplice, l’incontro con un animale selvatico, che
matura nel corso del tempo fino a prendere la forma di
un racconto. E’ sorprendente constatare come questo
semplice, piccolo evento abbia potuto segnare qualcuno
per tutta la vita.
Da molto tempo avevo voglia di raccontare questo incontro
straordinariamente vivo nella mia memoria. Era venuto
il momento di condividerlo, mostrando quello che amo,
il paese dove sono cresciuto, le montagne dell’Ain.
Si ricorda del suo primo
incontro con la volpe?
Benissimo, l’immagine è scolpita per sempre
nella mia mente. Era primavera, periodo dei miei funghi
preferiti, i prugnoli primaverili. Ero arrivato in una
grande radura circondata da abeti. La volpe non mi aveva
visto, concentrata com’era sulla sua caccia. Non
avevo mai potuto osservarne una così a lungo. Ho
avuto l’irrefrenabile impulso di avvicinarmi a lei.
Ogni passo verso di lei era come una scommessa. Più
avanzavo e più avevo paura che fuggisse. Ce l’ho
ancora perfettamente davanti agli occhi, sento ancora
oggi l’emozione di quell’istante. Si è
girata, mi ha guardato con un’intensità che
mi ha sconvolto, ed è fuggita via. E’ la
prima scena del film.
I
vostri sguardi si sono incontrati, come nel film?
E’ stato come un attimo sospeso di completo stupore.
Ho amato molto quell’incredibile tensione. Perché
ha acconsentito a restare a pochi passi da me? Avrebbe
dovuto scappare. La regola era stata infranta e per la
durata di un secondo c’è stato uno scambio,
una comunicazione tra due mondi, tra due esseri diversi
e allo stesso tempo simili.
Cosa è successo dopo?
Sono tornato il giorno dopo, i giorni successivi, convinto
che sarebbe stata lì. Spinto da un desiderio folle,
volevo cercare di ritrovarla per avvicinarmi di nuovo
a lei. Non l’ho mai più rivista pur avendo
la sensazione, ogni volta che tornavo il quel posto, di
poterla rivedere. L’ho cercata, a lungo. Questa
ricerca mi ha portato in luoghi insoliti, mi ha spinto
ad uscire dai sentieri battuti. Mi ha portato a scoprire
paesaggi diversi, ad andare verso l’ignoto. Mi è
sempre piaciuta molto questa idea di perdermi vicino a
casa mia, di lasciarmi condurre dai miei passi, di pensare
che questa volpe fosse diventata la mia maestra di vagabondaggio.
Come si passa da un ricordo
a un film?
Dopo La Marcia dei Pinguini e i ghiacci dell’Antartide,
avevo voglia di raccontare qualcosa di meraviglioso con
una storia che si svolgesse dietro casa mia, nei prati
e nei boschi. In fondo, non c’è bisogno di
andare lontano per stupirsi, è solo questione di
come si guardano le cose.
Ho l’impressione che al giorno d’oggi abbiamo
perso questa capacità di stupirci. Abbiamo perso
quell’intima relazione che avevamo con la natura,
che è ormai quasi esotica per la gente di città
che siamo diventati. Io ho avuto la fortuna di crescere
in un ambiente rurale, di girare il mondo, di vivere in
grandi città e di esplorare la natura da un punto
di vista scientifico. Il cinema mi dà oggi i mezzi
per integrare tutte queste esperienze e poterle così
condividere.
Verso
quale nuova destinazione ha deciso di portarci?
Lo straordinario viaggio proposto da questo film è
quello attraverso la natura, per come essa si mostra quando
si resta immobili per ore cercando di far dimenticare
la propria presenza. Questo film avrebbe potuto intitolarsi
«Seduto sull’erba!». Ricordo ancora
le sensazioni della contemplazione pura. Resta solo il
piacere provato e il fatto di aver vissuto un’avventura
straordinaria. Viviamo una strana maledizione: quando
un essere umano penetra in una foresta, c’è
come un tam-tam che trasmette a tutti i suoi abitanti
l’arrivo di una presenza nemica! Ho voluto, come
la bambina del film, annullare questa maledizione.
Scopo del film è quello di mostrare la natura così
com’è, quando non siamo lì ad osservarla.
E’ tutto qui. Seguendo prima la volpe e poi la bambina,
il film offre uno spettacolo al quale non si può
avere accesso, se non passando giorni e giorni in un luogo
di appostamento.
E’ possibile far sognare
attraverso paesaggi familiari?
E’ questa la scommessa del film: far sognare gli
spettatori con paesaggi che conoscono. E’ più
facile meravigliare il pubblico con gli iceberg, che sono
straordinari come tutto ciò che è inaccessibile.
Qui volevo poter raccontare dei momenti di felicità,
dei semplici piaceri che ci fanno stare bene e che sono
accessibili a tutti.
La natura si concede a noi solo quando noi ci concediamo
del tempo per contemplarla. Allora tutto si anima, lo
sguardo attento coglie moltissime cose. Avevo voglia di
comunicare alla gente il semplice piacere di stare in
mezzo alla natura.
Si
tratta di una passeggiata in un mondo ideale?
Direi che il film compone un paesaggio ideale mettendo
insieme scorci naturali presi da luoghi spesso molto distanti
gli uni dagli altri. Lavorando nel cinema, ho anche il
vantaggio di poter ricostruire una geografia ideale.
Ho giocato molto sulle proporzioni. La natura percepita
attraverso gli occhi di una bambina o di una volpe non
è più la stessa. Al loro livello, i paesaggi
cambiano dimensione, tutto diventa più impressionante,
più fantastico, e una semplice cascata può
diventare imponente. Ho cercato anche di mantenere lo
sguardo meravigliato di un bambino davanti alla natura
di un tempo, popolata di orsi, di linci e di lupi, come
quella che c’era cento o duecento anni fa.
Come descrive questa natura
dal suo punto di vista?
Mi piace molto l’idea di occhiali magici in grado
di farci entrare in mondi diversi, secondo il tipo di
lenti utilizzate. Lo strumento attraverso il quale si
osserva modifica la percezione del mondo che ci circonda,
cambia la prospettiva. Con un microscopio mi immergo nel
mondo dei batteri, con un telescopio viaggio nell’universo,
con una cinepresa messa al livello del suolo entro nel
mondo della volpe. Ogni film è come un nuovo paio
di occhiali, in un certo senso.
La Volpe e la Bambina è
sviluppato seguendo un’idea precisa molto stilizzata?
E’ un racconto. E un racconto è la forma
che ha una storia semplice quando è narrata con
parole semplici. Il racconto deve parlare a tutti. Che
sia palese o nascosto, l’intendimento dei racconti
costituisce spesso la base delle riflessioni dei bambini.
La Volpe e la Bambina tratta del rispetto della natura,
del rispetto dell’altro, dei limiti da non superare
per non snaturare ciò che, più di tutto,
si desidera possedere.
E’ per questo che tutto ciò che non attiene
al rapporto tra la bambina e la volpe è stato solo
suggerito. E’ un modo per concentrarsi sulla problematica
sviluppata dal film. Inoltre, mi sembra che le cose più
sono spoglie più trasmettono in termini di significato
e di emozioni. In questa storia l’epoca non ha importanza,
quello che conta è il rapporto che si è
stabilito tra un essere umano e un animale, quello che
succede e quello che non può succedere.
Questo
film era in programma dopo il successo de La Marcia dei
Pinguini?
Questo progetto mi stava a cuore da moltissimo tempo.
Avevo scritto la sinossi de La Volpe e la Bambina molto
tempo prima de La Marcia dei Pinguini. Dopo l’ebbrezza
della promozione e delle premiazioni, ero contento di
poter sviluppare questo progetto personale che aveva avuto
il tempo di maturare. E’ un soggetto per il quale
non dovevo chiedermi se sarebbe stato altrettanto o meno
buono de La Marcia dei Pinguini. Il successo mi ha dato
la possibilità di raccontare questa storia fatta
di piccoli piaceri, che tuttavia, paradossalmente, richiedeva
mezzi notevoli.
Come è andata la scrittura
della sceneggiatura?
Amo la leggerezza offerta da carta e penna rispetto ai
mezzi necessari per girare un film. Per far emergere la
storia interiore, ho fatto inizialmente il mio percorso
da solo. Eric Rognard si è poi affiancato come
co-sceneggiatore. Ne è nata una proficua complicità.
Abbiamo cercato di dar vita ad una storia forte, pur rispettando
la verosimiglianza del comportamento di una volpe. Avevamo
bisogno di inventare un percorso credibile dal punto di
vista dell’animale, cercando allo stesso tempo degli
spunti drammatici legati alla questione dell’addomesticamento.
A livello narrativo ho preferito che questa storia venisse
raccontata. E’ la bambina, diventata adulta, che,
con qualche frase, ci fa condividere il suo percorso.
In che cosa è insolita
la sceneggiatura de La Volpe e la Bambina?
E’ una sceneggiatura classica con scene e personaggi.
La sua originalità consiste nel fatto che i suoi
personaggi, una bambina, un animale e la natura, non comunicano
attraverso i dialoghi. E’ stato necessario inventare
per ciascuno di essi una partitura che fosse credibile,
con il mutare delle stagioni e con il crescere del desiderio
della bambina di scoprire e di condividere la vita di
questa volpe.
La
scrittura cinematografica è diversa da quella de
La Marcia dei Pinguini?
E’ addirittura diametralmente opposta. Con i pinguini
ho raccontato una storia già scritta dalla natura.
Con la volpe ho scritto una storia per raccontare la natura
della mia infanzia, e ci siamo procurati i mezzi per trasformarla
in immagini. Ne La Marcia dei Pinguini eravamo nel campo
della registrazione della realtà, mentre sapevo
che le riprese de La Volpe e la Bambina sarebbero state
una combinazione di messa in scena e di documentario:
una parte naturale per riflettere i comportamenti della
volpe e una parte di messa in scena per ciò che
riguardava la bambina.
Dove l’hanno condotta
le sue prime riflessioni quando ha deciso di portare a
termine il film?
Il punto di partenza era quello di trovare gli scenari
per questa storia. Volevo girare il film su montagne di
media altezza, proseguire in paesaggi dolci, che non fossero
troppo selvaggi. Una prima ricerca delle location è
stata fatta da Jérôme Bouvier. Come me è
stato un operatore di ripresa, ha la mia stessa sensibilità.
Ha fatto il giro dell’Europa con l’obiettivo
di scoprire dei luoghi meravigliosi, pieni di volpi e
grandi foreste. In Francia ha esplorato diversi paesaggi
partendo dall’Haut-Doubs e scendendo fino nella
Chartreuse. E’ poi andato in Norvegia, Slovenia,
Romania, Ungheria, prima di finire con l’Italia.
Alla fine abbiamo scelto di girare in due regioni: nell’Ain,
nei dintorni dell’altopiano del Retord, e nel cuore
dell’Italia, in Abruzzo.
L’altopiano del Retord è il paesaggio che
ha fatto da sfondo alla mia infanzia; conosco quasi ogni
singolo metro quadrato per un raggio di venti chilometri.
La troupe mi ha convinto a girare in questi scenari. Quanto
a me, non ci pensavo più e cercavo lontano quello
che avevo sotto il naso.
La seconda location è nel parco nazionale d’Abruzzo.
E’ un luogo stupefacente, una delle più antiche
zone protette d’Europa, nella quale si trovano ancora
lupi, orsi e tutta la grande fauna europea. Questi animali
vivono in boschi di faggi dalle forme fantastiche che,
nel corso dei secoli, hanno raggiunto un’altezza
incredibile.
Una volta scelti i luoghi
in cui girare, come avete proceduto?
Abbiamo mandato in Abruzzo una squadra di quattro persone
con il compito di osservare e di filmare per sei mesi
delle volpi selvatiche nel loro ambiente. L’idea
era quella di stabilire un rapporto con quelle volpi che,
non essendo più cacciate da oltre cento anni, sono
le meno aggressive d’Europa. Questa squadra osservava
anche i loro comportamenti che sono serviti da nodi drammatici
nella sceneggiatura che stavamo scrivendo in parallelo.
Sono stati loro, per esempio, a scoprire che le volpi
in primavera fanno banchetti di piante di zafferano; ho
trovato l’idea divertente e l’ho inserita
nel film. Il lavoro di questa squadra ha fruttato una
straordinaria ricchezza di riprese quotidiane (le stagioni,
gli acquazzoni, il vento tra gli alberi, i lupi, gli orsi).
Parallelamente noi ci siamo preparati per le riprese che
utilizzano le tecniche classiche della messa in scena.
Ci siamo istallati nelle montagne dell’Ain. La tenuta
della Lavanche, edificio tradizionale circondato da una
natura superba, ci è servita da palcoscenico, e
le riprese hanno avuto inizio. Le riprese sono andate
avanti per tutte le quattro stagioni. Questo vuol dire
che ogni mattina la troupe si ritrovava in piena natura,
in una radura o in una prateria, che piovesse, nevicasse
o ci fosse vento. La meteorologia non sempre è
una scienza esatta e ci si è dovuti adattare. Rimanere
una trentina di settimane nella natura ci ha resi percettivi
rispetto alle sue più piccole manifestazioni.
Ci parli della troupe che l’ha accompagnata in questa
avventura.
Per raccontare questi ricordi d’infanzia di un ragazzino
seduto nell’erba, ci sarà voluta una quarantina
di persone a tempo pieno. La particolarità è
la composizione della troupe: alcuni venivano dal documentario,
altri dal cinema tradizionale, come Gérard Simon,
il direttore della fotografia, e altri ancora da quella
cosa in cui sono specializzati i francesi che sono i documentari
sugli animali per il grande schermo, come il mio assistente
Vincent Steiger, che gira il mondo per organizzare riprese
come quelle per Il Popolo Migratore o Il Grande Nord.
La scommessa era quella di unire approcci diversi per
coniugare la semplicità del documentario con le
dure esigenze della fiction.
Come avete lavorato?
Ho avuto la fortuna di essere circondato da gente in gamba.
E’ il più bel regalo che mi ha fatto La Marcia
dei Pinguini: poter lavorare con artisti e artigiani che
formano una squadra formidabile. Trovare il modo di capirsi
ha richiesto pochissimo tempo. Spiegare ad una squadra
dopo una preparazione di due giorni che è impossibile
girare la sequenza perché magari la volpe è
di cattivo umore, può essere una cosa piuttosto
difficile.
Invece quando questa stessa squadra mette tutta la sua
energia al servizio del tuo sogno, e lo fa con creatività
ed entusiasmo, allora è magnifico. Ogni mattina
ciascuno dimostrava la sua eccezionale capacità
di adattamento, la sua pazienza e la sua inventiva.
Perché
la volpe e non un altro animale?
E’ una scelta personale, amo quest’animale.
C’è ovviamente anche l’eco del mio
incontro con lei, ma è anche, tra gli animali delle
nostre foreste, quello che mi attrae di più. Portare
la volpe, questo personaggio eternamente di secondo piano,
nella parte alta del manifesto, facendole incarnare il
mondo animale, era una scommessa eccitante. Altri rappresentanti
della fauna europea, tassi, ricci e ermellini, e anche
lupi, orsi e linci completano il cast in altrettanti ruoli
secondari.
Filmare la volpe è anche una sfida speciale. Prima
di queste riprese mi era capitato di aspettare ore prima
che una volpe uscisse dalla sua tana, per vederla poi
tagliare furtivamente la corda da un’altra via d’uscita.
E, per finire, la volpe mi sembra l’animale ideale
per esplorare il legame conflittuale e paradossale che
unisce l’uomo all’animale selvatico. La volpe
ha in sé un paradosso: da una parte è un
animale cacciato che scappa via non appena ci identifica
come predatori, dall’altra è anche un animale
curioso e pragmatico che non esita ad avvicinarsi alle
abitazioni dell’uomo. Si sentono spesso gli abitanti
delle zone di villini residenziali raccontare del loro
incontro con una volpe che ha appena preso il cibo dalle
loro mani, proprio in fondo al loro giardino. E’
un animale seducente che mette a dura prova il nostro
bisogno di affetto possessivo, perché può
sparire per settimane prima di tornare a farti visita.
E’ il soggetto ideale per riflettere sull’idea
di addomesticamento. Popolazioni intere di volpi si sono
istallate nel cuore delle metropoli occidentali. Credo
che la volpe e l’uomo siano accomunati da un interesse
e da una curiosità che mi sembrano reciproci.
E la volpe si è rivelata
essere una buona attrice?
E’ un personaggio interessante per mille ragioni.
La volpe è estremamente estroversa, è vivace
e molto generosa in alcuni dei suoi comportamenti. Inoltre
possiamo leggere senza grandi sforzi le sue espressioni.
Il suo modo di comunicare non è molto diverso da
quello del cane, molti dei suoi comportamenti ci appaiono
espliciti.
E’ anche un animale estremamente plastico, capace
di adattarsi a numerose situazioni. Sotto questo aspetto
è cinematograficamente interessante. La volpe può
adattarsi a qualsiasi cosa richiedano la struttura e la
narrazione del film.
Non è un’attrice
troppo imprevedibile?
E’ proprio questo il problema. E, dopo più
di sei mesi di riprese, possiamo confermarlo: non si può
far fare ad una volpe quello che non vuole fare. E’
sempre la volpe a decidere. Alla fine si stabilisce abbastanza
facilmente una relazione intensa con una volpe ma, comunque,
l’uomo deve accettare che la volpe vada e venga
come le pare e piace.
Come ha trovato la protagonista
ideale?
Non l’abbiamo trovata. Non è solo una la
volpe con la quale abbiamo girato, ma molte. Avevano tutte
caratteri diversi e personalità particolari. Erano
sia delle volpi selvatiche filmate dalla troupe appostata
nel parco d’Abruzzo, sia delle volpi attrici scovate
da Pascal Tréguy, il responsabile per gli animali.
Ha fatto una specie di casting?
Pascal Tréguy ha dedicato molto tempo a cercare
delle volpi allevate fin dalla nascita e cresciute a contatto
con l’uomo. Durante le sue ricerche ha incontrato
un sacco di gente che ha una o più volpi. E’
così che ha scoperto Marie-Noëlle Baroni.
Lei lavora da anni preparando spettacoli per bambini con
alcune volpi. Marie-Noëlle e i suoi animali si sono
unite alla squadra per gli animali di Pascal Tréguy.
Entrambi, oltre ad essere dei professionisti riconosciuti,
condividono la stessa etica in sintonia con la filosofia
del film.
Gli animali che hanno scelto di far lavorare hanno conservato
il loro comportamento naturale, pur trovandosi in presenza
di una troupe numerosa. Il loro talento è consistito
nel capire il carattere e il temperamento di ciascuna
volpe, per farle interpretare una scena piuttosto che
un’altra. Tra le volpi attrici, alcune erano molto
sensibili al minimo disturbo; si girava allora con una
troupe ridotta al minimo e una sola cinepresa con una
focale lunga. Altre erano piuttosto amichevoli e, arrivando
sull’altopiano al mattino, salutavano la troupe.
Come si fa per ottenere da
loro delle espressioni che raccontino la loro storia?
Tutte le scene della sceneggiatura sviluppano solo comportamenti
naturali. Quando la volpe non andava bene, questo si sentiva,
come per un attore quando è fuori parte. Ci trovavamo
di fronte a vere e proprie attrici. Ci si preoccupava
del loro umore. Alcuni giorni si leggeva nel loro sguardo
che non avevano voglia di lavorare. In primavera, per
esempio, quando la natura si risveglia, la volpe, come
gli altri animali, ha un po’ la testa da un’altra
parte. La volpe ha un côté da diva: se non
si è decisa, puoi chiederle qualsiasi cosa, non
succederà niente. Bisogna rispettarla e non superare
i limiti per non rischiare di ritrovarsi a mani vuote.
Abbiamo avuto qualche sorpresa. Ad esempio, avevo visto
delle volpi selvatiche attraversare i fiumi e cercare
di acchiappare delle rane, ma in mezzo a tutte le nostre
volpi non ce n’era nessuna che sembrasse apprezzare
particolarmente l’acqua. Spesso è stato necessario
giocare con la volpe a chi è più furbo per
arrivare in fondo ad alcune scene, che pure erano ispirate
a ciò che avevo osservato in natura.
Perché
scegliere una bambina?
Quando ho cercato di proiettarmi indietro di 30 anni,
ho ritrovato l’immagine di un ragazzino che con
un bastone in mano giocava a fare Davy Crockett o ai cow-boys.
A dieci anni i maschietti si credono i più forti,
sono preda del desiderio di impossessarsi delle cose.
Immagino che una ragazzina cerchi meno di dominare, sia
più disponibile ad ascoltare, più incline
a sedurre. L’approccio femminile mi sembrava più
in sintonia con lo stupore, il che costituisce una delle
molle del film.
Sentivo che se la storia fosse stata raccontata da una
donna, si sarebbe potuti entrare in un mondo in cui l’emozione,
la dolcezza e la natura materna avrebbero controbilanciato
l’aspetto avventuroso del racconto.
Come ha trovato la giovane
attrice?
Non cercavo un archetipo, ma piuttosto una personalità
petulante, quasi birichina. Abbiamo incontrato centinaia
di ragazzine, senza avere idee a priori sul colore dei
capelli, sul fisico o sull’altezza. Volevo una ragazzina
molto simile agli animali, a suo agio nella natura…
ed è arrivata Bertille.
Quali sono state le prime
impressioni durante le prove?
Con la sua discrezione, la sua segretezza, Bertille incarna
un piccolo mistero. Lei ha un profilo e un viso molto
particolari. Volevo che non cambiasse, che rimanesse uguale
per tutto il film. L’idea era di fare di lei un’immagine
senza tempo. Lei ha veramente avuto la capacità
di calarsi in questo personaggio, di delinearlo in tutti
i suoi aspetti.
Bertille ha un’incredibile forza in quello che dà,
e dà soltanto quello che ha capito e fatto suo.
Poteva contare solo su pochi dialoghi e nessun attore
con il quale recitare. Inoltre era necessario che portasse
la volpe verso determinate situazioni, continuando però
a pensare al proprio ruolo. L’ha fatto, e questo
è prodigioso.
Come è andata, visto
che il suo ruolo consiste tutto in espressioni?
Bisognava proprio che avesse talento nella recitazione
per esprimere le sue emozioni. Per lei è stata
davvero dura, nonostante la sua tenacia e il suo carattere
forte. Abbiamo lavorato insieme. Ciascuno di noi ha fatto
un tratto di strada, io ho dovuto imparare a parlarle,
ad essere chiaro, lei ha dovuto fare un vero sforzo di
esteriorizzazione e, nel corso delle settimane, si è
imposta come un’attrice attenta.
Ha imparato a lavorare con gli animali, aiutata in questo
da Marie-Noëlle Baroni, che ha la capacità
di mettere in contatto bambini ed animali. Le volpi non
sono state sempre tenere con Bertille, ma lei è
stata paziente. Le condizioni delle riprese erano difficili,
eravamo sempre all’aperto.
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