Il Cacciatore di aquiloni: dal libro al grande schermo

 


Autore
Khaled Hosseini
Prima edizione
Piemme 2004
Pagine
392
 
Regia
Marc Forster
Sceneggiatura
David Benioff
Fotografia
Roberto Schaefer
Montaggio
Matt Chessé
Musiche
Alberto Iglesias

Nel 2003, IL CACCIATORE DI AQUILONI, opera prima di Khaled Hosseini irrompe prepotentemente nel panorama letterario conquistando le prime posizioni nelle classifiche dei libri più venduti in tutto il mondo e mantenendole per i 4 anni successivi. Il romanzo è stato venduto in oltre 8 milioni di copie, in circa 34 paesi, superando tutti i confini, grazie alla sua dirompente forza narrativa.
Per la sua ambientazione, la storia sembrava poco adatta a ottenere un tale successo stratosferico, eppure, per i temi universali trattati (la famiglia, l’amicizia, il coraggio del perdono e il potere salvifico dell’amore), ha toccato profondamente i cuori dei lettori
delle più disparate origini culturali e sociali.

Scritto da un medico nato in Afghanistan e costretto, come il protagonista, ad abbandonare il suo paese natale per decenni, IL CACCIATOTORE DI AQUILONI accompagna il lettore in un viaggio tra i continenti, nel corso del quale un uomo tenta di riparare a un errore terribile che ha commesso durante la sua infanzia e che lo ha tormentato per tutta la vita. Hosseini ha scritto un racconto ricco di suspence e di sentimenti intensi. Sebbene la storia sia pura invenzione, la profonda conoscenza che Hosseini ha di come si potesse crescere a Kabul, la “Perla dell’Asia Centrale”, prima dell’invasione sovietica e dell’avvento dei talebani e la sua esperienza di giovane
emigrato in America, conferiscono alla narrazione un’autenticità e un’umanità che hanno profondamente toccato i lettori.
Per Khaled Hosseini, l’enorme successo de IL CACCIATOTORE DI AQUILONI e l’imminente uscita del film basato sul suo romanzo sono motivi di grande soddisfazione.

“Sono ancora esterrefatto dal modo in cui i lettori hanno reagito al mio romanzo – dice – ma credo che dipenda dal fatto che la storia ruota attorno a un nucleo di intense emozioni, nelle quali chiunque può immedesimarsi. I temi della colpa, dell’amicizia, del perdono, della perdita, del desiderio di redenzione e di miglioramento di sé non sono temi solamente afgani, ma esperienze umane universali, che prescindono dall’identità etnica, culturale o religiosa”.

Sono stati questi temi, molto prima che il libro raggiungesse lo status di bestseller internazionale, quando ancora era un manoscritto, ad attirare l’attenzione dei produttori William Horberg e Rebecca Yeldham, precedentemente associati alla DreamWorks SKG.
Legendo le pagine ancora inedite di Hosseini, Horberg e Yeldham hanno capito di essere davanti a qualcosa di veramente straordinario. “Era una delle opere letterarie più potenti e cinematografiche che avessi mai letto”, racconta Yeldham. “La storia ha un’attrattiva, a
livello emotivo, molto potente grazie all’idea per la quale non importa ciò che hai fatto in passato, c’è sempre un modo per tornare a essere buoni - aggiunge Horberg -. Si parte per un viaggio con questi due bambini, un viaggio all’interno di una cultura, di una famiglia, un viaggio che porta alla redenzione di Amir. L’ho trovata una esperienza incredibilmente commovente, che prometteva moltissimo”.

Khaled Hosseini è stato coinvolto direttamente nel processo di trasformazione del romanzo in film. I due produttori volevano che l’autore seguisse dall’interno l’intero sviluppo creativo. Con il film nella sua fase si sviluppo, Horberg e Yeldham hanno lasciato la DreamWorks nel 2005. Horberg si è unito alla Sidney Kimmel Entertainment (SKE) e Sidney Kimmel, a sua volta, è divenato un entusiasta sostenitore del progetto. Jeff Skoll, della Participant Productions è stato un altro dei primissimi estimatori del libro e si è
unito alla SKE come co-finanziatore.

Nel frattempo il romanzo è diventato un vero e proprio fenomeno culturale, amato dai lettori e dalla critica di tutto il mondo. Isabel Allende è arrivata a dire: “E’ talmente potente che, per molto tempo, tutto ciò che ho letto successivamente mi è sembrato insipido”. “Sinceramente, credo che nessuno di noi sospettasse che IL CACCIATORE DI AQUILONI avrebbe avuto un successo tanto clamoroso” confessa Parkes. “Era una storia bellissima, di sapore eroico e perfetta per il cinema. E affrontava temi universali quali la redenzione e il confronto con se stessi, e cioè temi meravigliosamente classici”.

 

Adattare “Il cacciatore di aquiloni”

Dopo che il libro si era fatto strada nel cuore di molti lettori, i produttori hanno deciso di trovare uno sceneggiatore in grado di dare vita al mondo sconosciuto che Khaled Hosseini aveva descritto in modo tanto coinvolgente, senza perdere nulla della cifra “intima” del libro. Horberg e Yeldham hanno contattato lo sceneggiatore David Benioff, che è anche uno scrittore (Benioff ha debuttato come sceneggiatore adattando il proprio romanzo “La 25sima ora”, diretto da Spike Lee) e che è entrato a far parte del progetto con molte idee originali. “Avevamo tutti un obiettivo comune e cioè il desiderio di rendere giustizia alla meravigliosa storia conservando quanto più possibile l’umanità e lo spirito del libro” sostiene Benioff. “L’ho sempre considerata una storia di codardia e coraggio, un viaggio tra questi due poli. E poi, volevo assicurarmi che rimanesse una storia afgana, di afgani, di un popolo che vive una situazione terribile, fatta di guerre interminabili e di miseria e che all’interno della sua tragedia riesce comunque a trovare spazio per la grazia, per la bellezza e per l’amore”.

Benioff ha potuto contare in più occasioni sulla collaborazione di Hosseini durante la fase di adattamento. “Khaled non avrebbe potuto essere più generoso, nel concedere il suo tempo e le sue conoscenze, rispondendo a tutte le mie domande sulla vita in Afghanistan”, ricorda. “Io sono cresciuto a New York e l’idea dell’infanzia a Kabul era lontana anni luce dalla mia esperienza. Ma Khaled mi ha chiarito ogni dubbio. Inoltre, questi personaggi sono i suoi figli, e Khaled li conosce meglio di chiunque altro. Dunque, è sempre stato bravissimo a spiegare le ragioni per le quali uno dei personaggi faceva o non faceva qualcosa”.

Una delle sfide più complesse che Benioff ha dovuto affrontare è stata la riduzione della lunga catena di eventi che si snodano lungo 30 anni della vita di Amir in un film della durata di due ore. “I salti temporali sono difficili da gestire - spiega lo sceneggiatore –. Nel libro vediamo Amir in molte età della sua vita. Ma io ho deciso fin da subito che volevo solo due attori per interpretare il suo personaggio. Usandone più di due, si sarebbe perso il rapporto tra il pubblico e questo meraviglioso personaggio.
Fortunatamente, il nucleo centrale della storia di Khaled è talmente forte da mantenere la sua potenza anche a dispetto delle restrizioni di tempo e di spazio tipiche del formato della sceneggiatura”.
Khaled Hosseini è rimasto molto colpito dal modo in cui lo sceneggiatore ha reinventato la sua storia. “Tanto di cappello a David - dice lo scrittore -. Il mio romanzo è, per la sua stessa struttura, molto difficile da sceneggiare. Ci sono dei flashback, c’è il problema dell’età dei personaggi e poi si passa da una Kabul cosmopolita e vivace alla desolata città semidistrutta che Amir trova al suo ritorno. Ma David ce l’ha fatta e quando ho letto l’ultima versione del copione mi sono detto: ‘Questo sarà un film bellissimo’”.

Restava da trovare un regista. I produttori sapevano che c’era bisogno di qualcuno con una sensibilità culturale e con un’immaginazione che gli permettessero di fare i conti con una storia che va da Kabul alla California, dall’orrore e dalla devastazione della guerra alle opportunità di un nuovo inizio offerte dall’America. Dagli effetti stordenti della violenza e dell’intolleranza, al trionfo dell’onore e della speranza. Hanno scelto Marc Forster, soprattutto per la sua capacità di caricare di umanità tutti i film che ha realizzato a prescindere dal genere: dalle forti emozioni di MONSTER’S BALL agli incanti di NEVERLAND, fino alla fantasia della commedia VERO COME LA FINZIONE. Inoltre, aveva già lavorato con Benioff nel thriller psicologico STAY.
“Marc era un regista del quale ammiravamo moltissimo il lavoro” spiega William Horberg. “Qualsiasi mondo tocchi, trova sempre personaggi che il pubblico capisce e nei quali si immedesima profondamente. Nel suo lavoro mette curiosità e bellezza. E dato che questa storia era diversa da tutto ciò che aveva fatto in passato, abbiamo pensato che anche per lui sarebbe stata una sfida affascinante”.
Forster ha dimostrato fin da subito di possedere le doti necessarie per affrontare il progetto. “Marc non ha esitato neanche per un istante a imbarcarsi nella realizzazione di un film riguardante una cultura alla quale non apparteneva”, ricorda Rebecca Yeldham. “Ha accettato ostacoli che altri avrebbero rifiutato immediatamente. Ed è riuscito ad andare dritto al cuore della storia, a quelle stesse ragioni che, oltre a lui, avevano già commosso milioni di persone”.
Per Forster, la storia dell’idilliaca amicizia tra i piccoli Amir e Hassan e la drammatica successione di eventi che gettano ombra sulla nuova vita di Amir in America era irresistibile. “Mi sono innamorato di questa storia” sostiene il regista. “Leggere il libro è stata una esperienza bellissima ed emozionante e ho deciso di voler partecipare. Come MONSTER’S BALL, ma in un modo molto diverso, è la storia della rottura di un circolo vizioso di violenza, racconta la possibilità di redimersi. Dovevo riuscire a creare questo incredibile ed epico viaggio, portando contemporaneamente il pubblico dentro la storia molto intima dei personaggi e degli effetti profondi che ognuno di essi ha nella vita dell’altro. Questa miscela è la vera bellezza del romanzo”.

Fin dall’inizio, Forster ha capito che per dare vita al film doveva penetrare il fitto e complesso tessuto della cultura e della vita afgane. Preparandosi al progetto, ha condiviso la sua visione del film con Khaled Hosseini e ciò ha portato al consolidarsi di una grande affinità. “Mi ha fatto molto piacere sapere che Marc intendeva fare tutto il possibile per rendere il film il più autentico possibile sotto l’aspetto culturale. Che voleva mostrare al pubblico qualcosa che non era mai stato visto prima”, racconta Hosseini.
“Mi ha parlato con passione, con integrità, con sincerità del libro e mi ha detto che aveva paura di non rendere giustizia al romanzo e a me. Ma io non ero preoccupato, perché avevo visto che era innamorato della storia, che era profondamente coinvolto nel progetto e osservandolo sul set ho constatato anche il suo grande talento”. Forster ricorda: "David è stato di un’abilità magistrale nel cogliere lo spirito de IL CACCIATORE DI AQUILONI. La cosa più importante era non deludere Khaled, perché il libro esprime la sua visione”.

Dall’Inglese al Dari

Mentre David Benioff era ancora intento nella scrittura della sceneggiatura, è stato deciso di girare il film in lingua Dari, una delle due linue principali parlate in Afghanistan. “Pensavo che girare il film in qualsiasi altra lingua sarebbe stato un errore”, spiega Marc Forster. “Dei bambini afghani che negli anni ’70 parlavano tra loro in inglese non sarebbero stati credibili. Era necessario un legame emotivo, un legame con qualcosa di reale”.

La decisione è stata accolta con entusiasmo dall’autore Khaled Hosseini: “Quando Marc mi ha detto che voleva girare il film in Dari, mi ha conquistato. Ho capito che voleva veramente rendere giustizia al mio libro, perché per me era molto importante che i personaggi fossero credibili”, racconta. Hosseini ha collaborato alla scrittura dei dialoghi, aggiungendo alcune frasi in grado di rendere più naturale e realistico il linguaggio dei personaggi afgani. Alle battute in Dari si affiancano alcune battute in Pashtun, una lingua parlata dai talebani, e in Urdu, la lingua dei pachistani.
Una volta iniziata la produzione, sono stati assunti alcuni specialisti di lingua Dari, che hanno aiutato gli attori non afgani nella pronuncia e nell’inflessione. Gli specialisti sono stati sul set tutti i giorni, per accertarsi che ogni battuta fosse pronunciata esattamente come a Kabul. Le traduzioni estemporanee sul set sono state eseguite da Ilham Hosseini, una studentessa di legge all’università di Berkeley, fuggita insieme alla sua famiglia dall’Afghanistan. Ilhan è anche una cugina di Khaled Hosseini.
Oltre agli specialisti di lingua Dari e di altri dialetti afgani, la produzione ha assunto diversi consulenti culturali, sempre a disposizione per tutta la durata delle riprese, per limare i minimi dettagli e le sfumature. Durante la lavorazione del film, sono stati consultati anche moltissimi ricercatori e studiosi, per assicurare la verosimiglianza, del contenuto e delle rappresentazioni del film.
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