Marjane
Satrapi è una bella donna di 39 anni (è nata infatti
del 1969), dallo sguardo malizioso e piccante, dono delle terre
del Sud del mondo.
Ogni tanto fuma e le se posture ci riportano ad un gusto un
po’ demodé, ma sempre fortemente parigino, perché
è a Parigi che lei risiede. Vi si trasferì nel
1994 , il suo ultimo viaggio lontano dal suo amato Iran.
L’Europa l’aveva già conosciuta, ai tempi
del liceo quando nel 1983 a soli quattordici anni la sua famiglia
decise per senso di responsabilità di mandarla a studiare
a Vienna (il regime infatti era sempre più oppressivo,
soprattutto verso le donne).
Marjane aveva già conosciuto i vari risvolti politici
del suo paese, la caduta dello Scià e di un’epoca
che si ritenne per lungo tempo dorata, la rivoluzione islamica,
(nel libro non si cita mai il nome del suo simbolo Khomeyni,
come se non fosse essenziale) e l’inizio della guerra
Iraq-Iran. Una bambina già svezzata ma ancora non pronta
al grande impatto con l’Occidente liberista ma imprigionato
in se stesso.
Persepolis è un fumetto
agile, contraddistinto da dialoghi di “sincerità
domestica (splendidi sono i discorsi fra la giovane e la nonna,
figura anticonformista e figlia di un Iran europeizzato).
Ciò che incanta è l’essenzialità
delle storie, tanti piccoli affreschi contraddistinti da titoli
semplici, spesso legati ad oggetti (commovente è la vicenda
intitolata “la chiave” dove si svela la falsità
di un regime teocratico incline al martirio forzato) ed un tratto
nel disegno mai eccessivo con un colore nero pesante, invasivo
ma vivo nella sua apparente inesistenza cromatica (il suo mentore
è stato il fumettista francese David B.).
La vita di Marjane si intreccia alle volte aspramente con quella
del suo paese, uno stato iraniano in perenne trasformazione.
Non posso negare che anche io a tratti sono caduto nel tranello
postomi da alcune recensioni letterarie che hanno ben presto
bollato come semplicistica quest’opera (molto spesso per
la sua forma d’arte, il fumetto troppo legato allo stereotipo
del manga giapponese tutto effetti e poteri sovrannaturali).
La realtà è ben diversa.
L’autrice non perde mai d’occhio la verità,
che spesso passa dalle labbra del pragmatico padre di Satrapi
oppure dagli sguardi della madre. Si pecca solo di sincerità
in Persepolis ma non certo di leggerezza.
Un capolavoro come “Il mio Iran” Shirin Ebadi aveva
già scosso l’opinione pubblica negli anni scorsi,
il lavoro di Satrapi ne è per lunghi tratti, la sua trasposizione
fumettistica.
Pungente sempre, soprattutto quando tratta dell’Occidente,
così banale in certe sue manifestazioni esteriori (nei
gadgets, nel look, nell’ostentazione) e nella sua difficoltà
di integrarsi davvero.
La giovane studentessa ritornerà da Vienna per una delusione
amorosa (indimenticabili le sue osservazioni sul sesso e sulla
sessualità dei giovani europei), arricchita ma allo stesso
tempo delusa da un mondo superficiale.
La sua terra non gli offrirà certo occasioni di riscatto
ma le porterà un amore coronato dal matrimonio, che ben
presto naufragherà (oggi Marjane è sposata felicemente
con un uomo svedese).
Non bisogna stupirsi se l’Iran dell’intransigente
Ahmadinejad l’abbia ripudiata, se in ben 250 università
americane “Persepolis” sia un testo obbligatorio
e se la Francia ne ha ricavato una trasposizione cinematografica,
ora nelle sale. Nessun stupore insomma per questo meritato successo.
All’inizio del libro Satrapi confessa ai suoi genitori
che da grande sogna di fare il Profeta, oggi possiamo dire che
in parte il suo sogno si è realizzato.
[alessio
moitre]
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