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Anno
2010
Genere
commedia
In
scena
Fino al 10 febbraio
Teatro Argentina | Roma
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Autore |
Luigi
Pirandello |
Adattamento/Traduzione |
Gabriele
Lavia |
Regia |
Gabriele
Lavia |
Scene |
Alessandro
Camera |
Costumi |
Andrea
Viotti |
Luci |
Giovanni
Santolamazza |
Musica |
Giordano Corapi |
Interpreti |
Gabriele
Lavia, Gianni De Lellis, Lucia Lavia,
Roberto Bisacco, Daniela Poggi, Riccardo Bocci, Giulia
Galiani, Giorgio Crisafi, Riccardo Monitillo, Alessandra
Cristiani |
Produzione |
Teatro
Argentina |
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Atmosfere
rarefatte, fumo di Londra, scene austere con qualche libertà
di contorno. Gabriele Lavia interpreta la commedia "Tutto
per bene" di Pirandello respirando a pieni
polmoni l’aria dei quadri stilizzati e raffinati di Tamara
de Lempitcka e il cinema muto, minaccioso e incombente in "Metropolis"
di Fritz Lang.
La scena sfuma dal bianco al nero, ma è il grigio che
prevale, quasi a ricordare che la realtà è nelle
sfumature: per quanto si cerchi di fare chiarezza nei comportamenti
umani, qualcosa si blocca e si ritorna a fare le cose «per
bene», come usa la borghesia.
È il dramma di un uomo mite, Martino Lori (Gabriele Lavia)
tradito dall’adorata moglie Silvia, con una figlia bastarda
(Lucia Lavia), nata dalla relazione con un deputato in ascesa
(Gianni de Lellis), poi benefattore sia di Lori che della figlia.
Le abitudini non conterranno la belva interiore, l’altro,
il vero sé, che Pirandello scova ed evidenzia. Martino
solleva il velo della menzogna, ribalta le carte e porta la
sua commedia umana al culmine per poi trovare una normalità,
un suo modo di fare le «cose per bene».
Sorprende trovare Lavia-attore
contenuto, umile, al servizio totale del personaggio e moderato
nella recitazione. Lavia-regista mangia avidamente l’opera
pirandelliana, la respira, ne percepisce l’essenza e
la restituisce al pubblico, curando i dettagli nei minimi
particolari e muovendo gli attori come il regista di una pellicola.
I dialoghi sono lunghi per una messa in scena così
essenziale (in particolare quello tra padre e figlia), eppure
non stonano: sono parte del lavoro registico, per cui si preme
il pulsante del ritmo con sapienza e furbizia. I costumi ricchi,
gli arredamenti lussuosi ricordano che siamo di fronte ad
una grande macchina teatrale, ma la cura nella direzione degli
attori, quell’umiltà così vera, riportano
lo spettatore sul terreno dell’arte.
Daniela Poggi è elegante, ironica, teatrale senza esagerazione,
suocera del protagonista; movenze da manichino, sinuosa nell’incedere,
cantilenante come si addice ad una governante di alta classe,
l’ottima Giulia Giuliani; Lucia Lavia mostra gli eccessi
della gioventù e forse l’opportunità/rischio
di essere una figlia d’arte: si muove a volte come una
gazzella, a volte con la falcata di un soldato, strilla il
personaggio dall’inizio alla fine, non lo modula; Gianni
De Lellis regge benissimo il confronto con Lavia, sprezzante,
imperturbabile, uomo di mondo, cinico, magnanimo.
Tutto per bene,
come si conviene ad un artista con la fama di Gabriele Lavia.
[deborah ferrucci]
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