Sottrarre
poesia ai versi. Aggiungere contemporaneità
alle battute. Ripensare scene e costumi. Un paio di
enormi occhiali neri (da nerd si direbbe oggi) sul
naso di un disorientato e rauco Romeo. Voce da bimba
straniera per Giulietta. E su tutto svetta la bravura
dei GloriaBabbi.
Il
regista Valerio Binasco ha riletto assieme a Fausto
Paravidino il testo, in alcuni casi lo ha stravolto
ma ha firmato uno spettacolo che contiene in sé
delle piccole e preziose perle di originalità.
Dal duello iniziale tra bande rivali a suon di spade
alla festa all’ombra di palme luminose (in perfetto
stile supercafonal), dagli spicchi di luna che incorniciano
l’amore che sboccia alla morte, rigida, di Giulietta,
dall’epilogo in flashback stile “CSI,
scena del crimine”, agli applausi incorniciati
in quadri d’autore. Binasco non si fa mancare
proprio nulla: luci e scene sono al servizio della
sua immaginazione che, a volte, va un po’ troppo
in là, esonda e lascia perplessi. Mercuzio,
interpretato da Andrea Di Casa, è un personaggio
chiave, qui particolarmente estremo ma non meno intenso.
Unica pecca il monologo sulla Regina Mab, riscritto
in chiave “contemporanea”, che perde un
po’ del suo innegabile fascino. Frate Lorenzo
è uno straripante Filippo Dini, riconoscibilissimo
e sempre padrone del palco, una certezza. A conti
fatti i due protagonisti in realtà protagonisti
non lo sono: non di certo per mancanza di spazio che,
da parte, è loro concesso. Riccardo Scamarcio
e Deniz Ozdogan non reggono pienamente il ruolo, trascinano
la recitazione l’uno per mancanza d’arte,
l’altra di padronanza della lingua.
Un’operazione
che di sicuro poteva puntare ancora più in
alto, discutibile per intenti e finalità ma
che non si può non considerare innovativa e
originale. E di sicuro non scarsamente coraggiosa.
[patrizia
vitrugno]