Scritto
nel 1941 da Bertolt Brecht mentre era in esilio in
Finlandia e prossimo all'arrivo negli Stati Uniti
in California, "La
resistibile ascesa di Arturo Ui"
"rappresenta il tentativo di spiegare al mondo
capitalistico l'ascesa di Adolf Hitler, trasponendola
in circostanze a quel mondo familiari”, racconta
il regista Claudio Longhi.
La
scena è spostata a Chicago. Il rampante gangster
Arturo Ui altro non è che Hitler e la storia
è quella della sua rampante salita al potere
e delle macchinazioni per conservarlo e preservarlo.
Una buffa e mordace parabola satirica sulla corruzione
del potere, una «farsa storica» come la
definì il suo autore. L'opera venne messa in
scena con tutte le caratteristiche del teatro militante
di Brecht: recitato e cantato si avvicendano attraverso
giunzioni ben evidenti e sottolineate. In un'allegoria
violenta, comica, grottesca, surreale di un pezzo
drammatico della nostra storia. Umberto Orsini è
un immenso Arturo Ui, che si presenta come un Riccardo
III deforme nell'anima più che nel fisico.
Al suo fianco una compagnia giovane e talentuosa che
a tinte forti su una scena contestualizzata da pochi
e significativi elementi, disegna con toni pastosi
vicende e personaggi.
Le
scene di Antal Csaba disegnano il vuoto del palcoscenico
aprendolo ai grandi spazi; viene poi chiuso in ambienti
logori e decadenti attraverso moduli neutri che, illuminati
dalle luci di Paolo Pollo Rodighiero, costruiscono
i diversi quadri emotivi della pièce. La regia
è rigorosa, asciutta, capace di sfruttare ogni
singolo spazio del teatro ospitante, invadendo la
platea, rivolgendosi ad essa e rendendola partecipe/complice.Una
farsa tragica, quella in scena in questi giorni al
Teatro Argentina di Roma, che nelle intenzioni del
regista è “una lucida parodia delle violente
(s-)ragioni della borghesia capitalistica di irresistibile
(quanto agghiacciante) comicità”.
[fabio
melandri]