Da
una storia inglese, narrata da un autore inglese,
nasce l’idea di uno spettacolo italiano. Scelta
difficile, quella di riportare i ritmi e le atmosfere
di una diversa dimensione sociale catapultandole nella
terza parete italica. Il progetto, prodotto dallo
stabile di Genova, dove si sono diplomati i due attori
che interpretano i ruoli di Harry e Kev, (lo si sente
anche dall’inflessione dialettale dei tre intepreti),
nasce prima come mise in espace nel 2006, e in seguito
diviene spettacolo completo, anche se rimane nella
regia e nei toni estremamente essenziale.
La storia è raccontata dalla fine: la morte
di Mick riunisce attorno a sé tutte le poche
persone, tre in questo caso, l’ex moglie e due
amici del pub, con cui questo uomo solo e al tempo
stesso dedito all’alcol era riuscito a mantenere
un rapporto. Il defunto è poco raccontato,
in primo piano si stagliano le vite frustrate dei
protagonisti. In fondo Mick è fortunato, ha
concluso la vita all’improvviso, cadendo ubriaco
dalle scale; ora c’è qualcuno che si
prende cura della sua casa, delle sue ceneri che verranno
sparse, come forse lui avrebbe desiderato, al vento
della terra scozzese. Chi rimane, chi vive sono Harry,
Kev ed Holly. Sono loro i meno fortunati, perché
ogni giorno dovranno ridare senso alla loro banale
quotidianità, magari dimenticando le brutture
con qualche bicchierino al pub.
La regia di Flavio Parenti offre spunti interessanti,
quali le posizioni che a volte gli attori prendono
come sculture contemporanee. Tuttavia il ritmo della
recitazione e l’intensità sono discontinui
e talvolta affaticano lo spettatore nel seguire la
storia che a tratti risulta monotona. Aldo Ottobrino
è un buon Kev, forse quello che riesce a rendere
meglio lo stile inglese “less is more”,
mentre Holly (Alessia Giuliani) ed Henry (Antonio
Zavatteri) non riescono a dare l’energia e lo
spessore necessari ai ruoli interpretati.
[annalisa
picconi]