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Autore |
Jordi
Galceran |
Regia |
Luciano
Melchionna |
Scene |
Alessandro
Chiti |
Costumi |
Michela
Marino |
Luci |
Camilla
Piccioni |
Coreografie |
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Musica |
Stefano
Fresi |
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Un
cinema abbandonato, fatiscente, all'apparenza isolato
dal mondo. Uscite di sicurezza sbarrate da tavole di
legno inchiodate. Nella penombra la silhouette di una
giovane donna: Laura, seduta al centro della platea
di quell'ex sala cinematografica, tra poltrone divelte
e polverose. Davanti a lei, gigantesco, campeggia il
primissimo piano del volto di un uomo, proiettato sul
vecchio schermo strappato e sporco di muffa. L'uomo
parla guardando in camera, ancora sudato e affannato
per l'omicidio che dice di aver appena commesso. Confessa
di essere un serial killer e di aver ucciso quella che
si rivelerà la prima delle sue diciotto vittime...
La donna, legata e imbavagliata, assiste inerte all'inquietante
proiezione finché non si accendono le luci e
quello stesso uomo, serafico e sorridente, appare accanto
a lei. «Tra colpi bassi e cedimenti psicologici,
scabrose verità, menzogne e calunnie infamanti,
appare chiaro – ci rivela il regista Luciano Melchionna
– che i due in realtà si conoscono molto
bene».
“Parole
incatenate” è il titolo
di questo thriller psicologico scritto dal talentuoso
autore spagnolo Jordi Galceran, di cui avevamo apprezzato
il “Metodo
Gronholm”. “Parole
incatenate” segna un secondo
passo nel personale viaggio dell'autore nello studio
della materia e psicologia umana. Se nel “Metodo”
attraverso un elaborato 'gioco di ruoli' a cui si
sottoponevano quattro candidati per un posto da Direttore
Commerciale di una multinazionale, si indagava sulla
maschera sociale che si indossa per rendersi accettato/accettabile
dalla società con dissertazioni tra l'essere
e/o l'apparire, in “Parole” Galceran fa
un passo in avanti. Indaga
la perversione dell'animo umano, la malvagità
che sottende i rapporti umani (di coppia nel caso,
ma non solo), la mancanza di empatia, la gioia dell'umiliazione
a cui un essere umano sottopone il suo simile. L’autore
riduce rispetto al "Metodo" il numero di
personaggi in gioco (da quattro a due) chiudendoli
in uno spazio sempre più angusto (belle le
scene di Alessandro Chiti, scaldate dalle luci di
Camilla Piccioni) in cui tutto viene esasperato (forse
troppo) per apparire esemplificativo.
Claudia Pandolfi
e Francesco Montanari i protagonisti; un gatto che
gioca con il topo in un continuo (troppo?), ribaltamento
di ruoli e pesi che inizialmente spiazza e seduce,
ma che reiterati finisce per apparire ridondante.
La Pandolfi non convince con una recitazione esasperatamente
sopra le righe, urlata, senza variazioni di sorta
che la mantengono al medesimo livello emotivo dall'inizio
alla fine. Una spanna sopra ma anche lui non completamente
convincente Francesco Montanari, capace di calibrare
meglio i toni recitativi di un personaggio più
complesso e quindi interessante che domina la scena
in lungo ed in largo. È il vero perno focale
della storia. Ma al di là della performance
attoriale, è il testo medesimo a non convincere
pienamente, dalla disparità con cui vengono
curati i due personaggi (bene quello maschile, meno
il femminile) al lungo ed interminabile finale fatto
di chiusure e repentine riaperture che sfiancano,
al termine dell'unico atto dello spettacolo, la pazienza
dello spettatore.
Il pubblico mostra
di gradire a metà, con applausi scroscianti
ma non entusiasti.
[fabio
melandri]
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Interpreti |
Claudia
Pandolfi, Francesco Montanari |
Produzione |
ARTU'
- Ente Teatro Cronaca |
In
scena |
fino
al 6 gennaio Teatro Quirino, Roma | 10-12 gennaio
Teatro Rossini (Pesaro), 14 gennaio (Porto Sant'Elpidio),
15-19 gennaio (Ancona), 20 gennaio (Crevalcore),
21-22-23 gennaio (Modena), 24 gennaio (Villadossola),
25 gennaio (Asti), 26 gennaio (Vercelli), 28-29
Gennaio (Lugano), 30 gennaio (Sanremo), 1 febbraio
(Bitonto), 2 febbario (Santeramo in Colle),
3 febbario (Putignano), 4 febbraio (Lecce) |
Anno |
2013 |
Genere |
thriller |
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