"L’idea
dello spettacolo nasce da un aneddoto reale. Qualche
anno fa a Madrid, in una busta dell’immondizia
fu trovato un fascicolo contenente domande di assunzione
per una catena di supermercati. Uno degli impiegati
del dipartimento del personale vi aveva annotato le
sue impressioni sui candidati: straniero grasso; questa
no, brutta e stracciona; grassoccia con i brufoli; fuori
di testa, padre alcolizzato… Immaginai le ragazze
che aspiravano ad essere cassiera in quel supermercato
mentre tentavano di dare una buona immagine di loro
stesse di fronte a questo individuo, facendo e dicendo
quanto credevano si aspettasse da loro, le immaginai
disposte a sopportare anche delle piccole umiliazioni
pur di conseguire il posto di lavoro di cui avevano
bisogno. Questo è quanto fanno, fino all’estremo,
i personaggi de Il metodo Gronholm, perché non
importa chi siamo e come siamo, ciò che conta
è l’opinione che gli altri, spettatori
della nostra vita, deducono dalla nostra apparenza.”
Così Jordi Galceran, autore della tragicommedia
teatrale, spiega la genealogia di un testo che dopo
il successo riscontrato in mezza Europa giunge anche
in Italia grazie alla messa in scena di Cristina Pezzoli,
e che si discosta dall’originale per le belle
scene di stampo futurista di Giacomo Andrico.
Essere e/o apparire, della maschera sociale che ogni
giorno ognuno di noi indossa per rendersi accettato/accettabile
dalla società tratta Il
metodo Gronholm, mettendo sotto la sua lente
di ingrandimento una situazione tipo, estrema ma verosimile,
di una selezione per un’importante carica di direttore
commerciale in una multinazionale danese. Tre uomini
ed una donna si ritrovano a mettere in scena giochi
di ruolo, ad interpretare maschere e dissimulare verità,
in un fratricida scontro per la sopravvivenza. Un gioco
delle coppie mobile in un alternarsi continuo di alleanze
e complicità messo in scena attraverso un accurato
gioco della prossemica spaziale, in cui alla mobilità
dei personaggi in scena fa da contrappunto la staticità
della quinta teatrale in unico ambiente.
Immenso Maurizio Donadoni, nel ruolo del manager senza
morale, disposto a tutto pur di emergere e conquistarsi
il trofeo in palio, che mette in fila i suoi colleghi
a partire da Tony Laudadio ed Enrico Ianniello, qui
anche traduttore del testo originale spagnolo, per finire
a Nicoletta Braschi la cui recitazione ci è parsa
acerba, monocorde senza quelle sfumature recitative
che il ruolo necessitava. Un'opera che comunque rimane
dentro, come un fiume carsico pronto ad emergere nel
momento meno impensato. Da vedere.
[fabio melandri] |
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