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Anno
2013
Genere
drammatico
In
scena
fino al 14 aprile
Teatro Ghione | Roma
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Adattamento/Traduzione |
Claudio
Bocaccini |
Regia |
Claudio
Bocaccini |
Costumi |
Lucia
Mirabile |
Luci |
Luca
Palmieri |
Interpreti |
Felice
Della Corte, Riccardo Barbera, Paolo Perinelli, Marco
Cavallaro, Maurizio Greco, Massimo Cardinali, Giuseppe
Russo, Alioscia Viccaro, Andrea Bizzarri, Mario Antinolfi,
Giacomo Sannibale, Luca Restagno |
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Un
padre si rivolge al figlio: «Non è tempo di
cambiare, sei ancora giovane, questa è la tua colpa.
Hai ancora molte cose da conoscere. Trovati una ragazza, sistemati,
se vuoi puoi sposarti. Guarda me, sono vecchio ma felice. Una
volta ero come sei tu ora, pensa a tutto quello che hai avuto.
Tu sarai ancora qui domani, ma forse non i tuoi sogni».
Il figlio replica: «Come posso provare a spiegare?
Quando lo faccio, lui va via di nuovo! È sempre la stessa
vecchia storia: dal momento in cui potevo parlare, mi è
stato ordinato di ascoltare. Ma ora c'è una strada, e
io so che devo andarmene».
Questo dialogo tra padre e figlio è contenuto nella canzone
"Father and Son" di Yusuf Islam, meglio noto come
Cat Steven, prima della conversione all'Islam.
Canzone che fa da cornice ad uno dei quattro quadri che compongo
i due atti de "La parola
ai giurati", trasposizione teatrale dell'omonima
pellicola del 1957 di Sidney Lumet con Henry Fonda. La storia
è semplice. 12 uomini bianchi (uomini arrabbiati, come
citava il titolo originale del film) riuniti in una anonima
camera di un tribunale, chiamati a decidere la colpevolezza
(che comporterebbe la condanna a morte) di un giovane portoricano,
accusato da prove apparentemente schiaccianti, di aver ucciso
il padre.
11 colpevolisti con la fretta di tornare a casa ed un solo innocentista,
non tanto per convinzione quanto perchè la vita di un
ragazzo deve valere almeno 5 minuti di discussione...
Un figlio che uccide il padre. Ecco il perchè della canzone,
che segna il taglio drammatico che il regista ed autore dell'adattamento
Claudio Bocaccini ha voluto dare al meccanismo giallo dell'opera
originale. Perchè tra i 12 membri della giuria emergono
lentamente (attraverso monologhi davanti al pubblico o confidenze
tra personaggi), una serie di storie con padri e figli protagonisti:
storie di violenza, incomprensioni, paure, fughe. Un mondo pieno
di cattivi come cantava sempre Steven in "Wild World",
altra canzone cornice e non casuale dello spettacolo: "oh,
tesoro, è un mondo selvaggio / è difficile farcela
solamente con un sorriso... sai, ho visto molto di quello che
il mondo può fare / e questo mi sta spezzando il cuore
in due / perché non vorrei mai vederti triste, ragazza
/ non essere una cattiva ragazza / ma se vuoi andartene, abbi
cura di te / spero che troverai tanti amici simpatici là
fuori / ma ricorda solo che ce ne sono / molti di cattivi, sta
in guardia".
Ed è una grande idea narrativa quella di Bocaccini, capace
di riempire ex novo un perfetto meccanismo scenico, donandogli
nuova vita agli occhi di chi aveva ben presente la pellicola
capolavoro: il punto di forza dello spettacolo, senza dubbio.
Ma un ragionevole dubbio si ha davanti alla performance dei
diseguali attori sulla scena. La recitazione di molti, ma non
tutti, appare troppo accademica e attenta alla perfetta dizione
piuttosto che alla naturalità dell'espressione. Tanto
da scivolare spesso in un'interpretazione urlata, che sebbene
sia prevista dal copione pieno di risse consumate o solo desiderate,
ha il solo effetto di creare confusione sin troppo generalizzata.
Nel complesso lo spettacolo è da annoverare tra le belle
sorprese di questa stagione, augurandoci una seconda, con pochi
ma necessari correttivi di cui si sente il bisogno per uno spettacolo
da applausi a scena aperta.
[fabio melandri]
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