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Autore:
Reginald Rose |
Adattamento:
Giovanni Lombardo Radice |
Regia:
Alessandro Gassman |
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Scene:
Gianluca Amodio |
Costumi:
Helga Williams |
Musica:
Pilvio & Aldo De Scalzi
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Luci:
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Produzione:
Società per Attori eTeatro Stabile d’Abruzzo
con il patrocinio di Amnesty International |
Interpreti:
Alessandro
Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Bussotti,
Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo
Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo
Taranto, Giulio Federico Janni |
Anno
di produzione:
2009 |
Genere:
drammatico |
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La
seconda prova registica di Alessandro Gassman sorprende
anche gli scettici. La parola
ai giurati, in scena al Teatro Eliseo di Roma,
ha più di uno spunto cinematografico che si
amalgama alla perfezione con l’“ambiente
teatro”. Le due arti si esaltano a vicenda contribuendo,
ognuna col suo bagaglio, a sottolineare la tragicità
e l’importanza del tema trattato.
Un
testo di impegno civile e sociale incentrato sulla
pena di morte, tradotto da Giovanni Lombardo Radice,
prodotto dal teatro Stabile d’Abruzzo e Società
per Attori con il patrocinio di Amnesty International.
La parola ai giurati di Reginald Rose è noto
soprattutto grazie a Twelve
Angry Men dell’allora esordiente Sidney
Lumet che vide nel 1957 un eccellente Henry Fonda
nel ruolo di protagonista.
Confronto
non semplice ma inevitabile quello tra le due versioni,
orgogliosamente superato dallo spettacolo di Gassman.
Il talentuoso figlio d’arte, che è anche
interprete del ruolo che fu di Fonda, schiera i giurati
all’interno di una stanza dando al pubblico
l’impressione di spiare i dodici uomini, seduti
intorno a un tavolo e con le spalle spesso rivolte
alla sala.
Siamo
nella New York anni Cinquanta: i giurati devono decidere
della colpevolezza o meno dell’imputato, un
sedicenne accusato di avere pugnalato il padre. Quando
si riuniscono in camera di consiglio, per raggiungere
un verdetto unanime, tutto sembra chiaro. La storia
del ragazzo, la sua estrazione sociale e il suo essere
un violento perché ispano-americano lo rendono
automaticamente colpevole. E di questo sono convinti
tutti i giurati. Tranne uno, l’ottavo (interpretato
da Gassman), che riesce a smontare tutte le accuse
e a incrinare le certezze degli altri undici, instillando
nelle loro menti un “ragionevole dubbio”,
il principio secondo il quale una condanna deve implicare
la certezza del crimine. “Non potevo che essere
lui – spiega Gassman – visto il mio doppio
ruolo di attore e regista. Perché lui stesso
è il regista di questi giurati, è la
scintilla che accende le micce degli altri personaggi”.
Dei
giurati non sappiamo nulla, ma la forza dello spettacolo
è tutta nella loro sapiente caratterizzazione.
Tra di essi spicca per intensità e bravura
l’interpretazione di Manrico Gammarota, il quarto
giurato, ultimo a deporre i pregiudizi, che fa da
spalla e contraltare ad Alessandro Gassman.
Giochi
di luce sottolineano i dialoghi tra i giurati che
si fanno sempre più incandescenti, persino
quando scambiano le loro opinioni davanti allo specchio
della toilette. Le lancette dell’orologio a
muro scandiscono il trascorrere del tempo sottolineato
anche dai cambi di luce che filtrano da una finestra
che dà sulla città. Suggestivo l’effetto
della pioggia che batte sui vetri ottenuto con uno
spettacolare gioco di luci. E l’incontro di
cinema e teatro sul palco è una scelta registica
seguita anche nella presentazione finale degli attori
che ricorda lo scorrere dei titoli di coda di un film.
La parola ai giurati
ha vinto il Biglietto d’Oro Agis-Eti e il Premio
nazionale della critica teatrale, cui si aggiungono
il Golden Graal e il Pegaso d’Oro.
[patrizia
vitrugno]
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