«Art
is an adventure into an unknown world, which can be
explored only by those willing to take risks».
Marc Rothko
“The
Four Seasons Restaurant” è
l'ultimo capitolo della trilogia portato in scena
da Romeo Castellucci e Socìetas Raffaello Sanzio
al Romaeuropa Festival. Nato dalla lettura di Nathaniel
Hawthorne, insieme a “Il velo nero del pastore”
e “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”,
anche questo spettacolo si concentra sul rapporto
tra artista e immagine.
Il
tema è il rifiuto ed è dedicato a Marc
Rothko. A dare il titolo allo spettacolo è
il noto ristorante di New York, al centro di un episodio
emblematico nella carriera del pittore che, nel 1958,
dopo un anno di lavoro ad alcune tele (ora esposte
alla Tate Modern Gallery di Londra), ne rifiutò
l’esposizione alle pareti. In questo modo Rothko
si espose a una sorta di suicidio sociale, rifiutando
il ruolo di mercenario. Tema di controverse discussioni,
che vogliono l’artista al centro di una perenne
ambivalenza tra l'essere eretico o mercenario.
La
forza espressiva di Castellucci e della Socìetas
è magnifica. I simboli scelti per rappresentare
il concetto del rifiuto dell'artista sono crudi e
imponenti. Il rosso e il nero delle tele di Rothko
vengono dipinti sul palcoscenico da visioni suggestive
che evocano i colori dei quadri: il nero assoluto
è il rumore assordante della registrazione
NASA dell’attività dei buchi neri, il
buio di un collasso celeste; il rosso è il
sangue delle lingue tagliate delle dieci attrici in
scena. Pur non godendo del privilegio della sinestesia,
i colori si materializzano ugualmente nella mente
di chi guarda. “La morte di Empedocle”,
tragedia che l’autore suicida Hölderlin
non portò mai a compimento, vede il protagonista
morire gettandosi del cratere incandescente dell'Etna.
Infine, l'animo tormentato dell'artista è come
un’enorme uragano che riempie lo spazio scenico,
alle cui spalle, alla fine della tempesta, appare
un grande quadro del volto di una donna somigliante
al Cristo di Antonello da Messina, che invece si rivela
essere quello di una prostituta di New Orleans dei
primi del Novecento. Quella donna nasce da tutte coloro
che sono rinate, come in un parto, dall'abbraccio
di altre donne.
Il
teatro di Castellucci colpisce e lascia sbigottiti,
al punto che qualcuno decide di lasciare la sala solo
dopo pochi minuti dall'inizio della rappresentazione.
Il direttore della Biennale di Venezia, Alex Rigola,
che quest'anno ha assegnato il Leone d’oro alla
carriera a Castellucci, ha sintetizzato efficacemente
questa sensazione, dichiarando che «il suo teatro
realizza una cosa impossibile da rappresentare: l’incubo».
[giovanna
gentile]
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edizione 2012
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