Perversioni sessuali a Chicago
Autore: David Mamet Traduzione: Pietro Bontempo, Massimiliano Farau
Regia: Massimiliano Farau
Scene: Fabiana Di Marco Aiuto regia: Daniele Muratore
Suono: Marco Schiavoni Voce off: Jacopo Venturiero
Produzione: Alessandro Lendvai per Suite srl
Interpreti: Sarah Maestri, Antonella Civale, Nicola Nicchi, Giuseppe Tantillo
Anno di produzione: 2008 Genere: drammatico
In scena: in turnè

Tempi duri per l’amore, non c’è che dire.
Se per Woody Allen con il suo ultimo lavoro Vicky Cristina Barcellona l’amore vero, romantico è solo quello impossibile, non corrisposto, consumato a distanza, per David Mamet è un sentimento che l’Occidente non può permettersi, avendo costruito una società arida al suo germogliare, ieri (1974, anno in cui scrisse il suo caustico Perversioni sessuali a Chicago) come oggi nella messa in scena vintage di Massimiliano Frau al Teatro Argot Studio di Roma, fino al 26 ottobre.
Quattro voci dissonanti, quattro personalità che s’incontrano, parlano, sparlano, litigano, desiderano, amano ed odiano intorno ad un solo grande tema: il sesso.
Danny e Deborah si conoscono, scopano, cercano di trasformare il tutto in una relazione stabile e continuativa. Ma devono fare i conti con la realtà che sembra non condividere i loro piani e con l’incursione di due amici, complici, amanti (?) sin troppo invadenti. Se Bernie non fa altro che bombardare Danny con racconti di portentose prestazioni sessuali, improntate al più delirante machismo ad alto tasso di misoginia, Joan incattivita ed inacidita da una insoddisfazione profonda e misteriosa, distilla pillole di risentite analisi del comportamento maschile all’ingenua ed incantata Deborah.
Attraverso un linguaggio esplicito, frammentato, franco Mamet illustra con lucida intelligenza e sfrontata cattiveria i rapporti tra uomo e donna. Rapporti che trent’anni di “evoluzione” (da quando il testo è stato scritto) non sembrano aver migliorato, ma anzi peggiorato e spersonalizzato con l’avvento della comunicazione interpersonale mediata da cellulari (sms) e internet (email).
“Ciò che mi colpisce di questo testo – racconta il regista Frau – è la capacità di raccontare una storia d’amore mancata, raccontarla solo in maniera fenomenica, intuire la storia dai tanti flash che appaiono nel testo: il dialogo ossessivo quasi perde il suo senso lasciandone intuire un altro, più a fondo, più dai silenzi che dalle parole”.
Una messa in scena sobria e funzionale, con quinte fisse e movimento scenico creato dagli attori stessi insieme ad un gioco di luci che ci precipita nel bel mezzo degli Anni Settanta, evocati attraverso musiche e costumi che ben si adattano alla fisicità dei giovani attori. Uno spettacolo in cui si abbattono barriere fisiche – la piccola sala dello Studio Argot crea un clima di intimità e partecipazione tra attori e pubblico – e psicologiche, in cui si evoca il sapore dello sperma e rapporti sessuali improntati al feticismo sado-masochista.
Bravi Giuseppe Tantillo e Nicola Nicchi nei panni rispettivamente di Danny e Bernie: dimostrano di avere una buona confidenza con i tempi ed i ritmi teatrali, capaci di restituire il linguaggio sporco di Mamet con veridicità e colore. Più timide le interpretazioni femminili di Sarah Maestri (Deborah) e Antonella Civale (Joan) non aiutate da un testo improntato su un forte maschilismo misogino che – e qui forse risiede l’unica debolezza del testo – sembra guardare con maggior cura una parte rispetto l’altra.
[fabio melandri]