L’istruttoria - Atti del processo in morte di Giuseppe Fava
Autore: Claudio Fava
Regia: Ninni Bruschetta
Scene: Mariella Bellantone
Costumi: Metella Reboni
Musica: Dounia
Luci: Renzo Di Chio
Produzione: : Nutrimenti Terrestri, in collaborazione con il Teatro Stabile di Catania
Interpreti: Claudio Gioè, Donatella Finocchiaro
Anno di produzione: ----- Genere: teatro civile
In scena: Teatro Ambra Jovinelli, dall’8 al 20 gennaio 2008. Via Guglielmo Pepe, 43/47 – Roma. Dal martedì al sabato ore 21.00, domenica ore 17.00.
Mettere in scena la propria storia è complicato e a volte persino ridicolo. Se poi si sceglie come argomento la morte di un padre, diventa un’impresa ardua. Claudio Fava, giornalista, eurodeputato, autore del testo teatrale Il mio nome è Caino e della sceneggiatura del film I cento passi, ma in questo caso figlio del giornalista Giuseppe Fava assassinato dalla mafia il 5 gennaio 1984, ha scelto la via più lineare e diretta.
Per lo spettacolo in scena fino al 20 gennaio all’Ambra Jovinelli si ripercorre il processo denominato “Orsa Maggiore 3”, attraverso interrogatori, ricordi, commenti, valutazioni e depistagli che all’epoca furono all’ordine del giorno. “Duecentotrentaquattro udienze, duecentosessanta testi ascoltati, seimila pagine di verbali – ricorda l’autore. Del processo Fava, resta in apparenza solo una sentenza di condanna, ormai definitiva. Eppure, dietro i riti della giustizia, c´è sempre altro. Questa istruttoria racconta la morte di un giornalista per narrare tutta la ferocia della mafia, l’oltraggio irrisolto della sua violenza, la viltà dei complici. E soprattutto la rabbia dei sopravvissuti».
In scena ci sono Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro – accompagnati dalle canzoni eseguite dal vivo dai Dounia – che ripercorrono quei giorni, quelle sensazioni. La scena è in gran parte dominata dall’attore palermitano che a seconda della posizione sul palco se seduto, in piedi, sulle scale o con il cappotto e cappello, entra nei panni dei protagonisti dell’epoca.
Scorrono i dialoghi tra il giudice immaginario e il mafioso, il cronista, il deputato catanese, il cugino latitante di Nitto Santapaola o dell’editore. Tutti pronti a negare la presenza della mafia, a smentire i sospetti che divennero certezza con la sentenza finale: condanna all’ergastolo per il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante; Marcello D’Agata e Francesco Giammuso quali organizzatori; Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola. (L’ultimo processo, del 2003, con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all’ergastolo e Avola a sette anni patteggiati).
Gioè, di recente visto nella fiction Il capo dei capi nella parte di Totò Riina, sa come coinvolgere lo spettatore. La sua bravura è nella capacità di cambiare registro, tono e immedesimazione, senza perdere mai in partecipazione emotiva. Dal canto suo, Donatella Finocchiaro è il contrappunto femminile, la donna che rivive i momenti delle intercettazioni, della messa a nudo del pudore e dei sentimenti più intimi, la donna del boss che ricorda come si spostavano protetti dai carabinieri e persino il giudice che tenta invano di “far parlare” il latitante. Un gioco al massacro, una violenza verbale, che trasforma l’evidenza dei fatti in menzogna. «Non è rabbia. È il tempo, tutto il tempo che si è condensato dentro le nostre vene. E adesso spinge, preme», sussurra. «Ci chiamiamo “parte civile”. Un modo per misurare la nostra attesa».

Lo spettacolo, (andato in scena nel giugno 2006 nell’aula-bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, luogo simbolo del maxi-processo alla mafia) si chiude con un percorso in macchina: un uomo e una donna fermi davanti ad un semaforo rosso, capiscono “in questa attesa obbediente”, quella “morte di cui ci hanno detto, ma che solo ora possiamo finalmente sentire. Il tempo è appena cominciato…”.
La regia di Ninni Bruschetta è semplice, essenziale, funzionale ai dialoghi, unici protagonisti e portatori di memoria. Perché dimenticare è “un peccato”. Si tratta di teatro di denuncia, teatro sociale, teatro civile. Di quel genere di teatro che mette in gioco la testa e il cuore, per lasciare spazio alla riflessione. [valentina venturi]