IO, L'EREDE
Autore: Eduardo De Filippo
Regia: Andrée Ruth Shammah
Scene: Gian Maurizio Fercioni
Luci: Marcello Jazzetti
Costumi: Gian Maurizio Fercioni
Musica: Michele Tadini
Produzione: Franco Parenti / Teatro Stabile di Calabria
Interpreti: Leopoldo Mastelloni, Geppy Gleijeses, Umberto Bellissimo, Margherita Di Rauso, Gabriella Franchini, Antonio Ferrante, Ferruccio Ferrante
Anno di produzione: 2006 Genere: commedia
In scena: dal 6 al 25 marzo, teatro Eliseo, Roma
Un classico di Eduardo De Filippo, Io, l'erede, e’ una commedia scritta in napoletano nel 1942 e riscritta "in lingua" nel 1968, che Andrée Ruth Shammah ripropone accentuandone il lato umoristico-sarcastico in perfetto stile pirandelliano.
Ispirata a un “fatterello” autobiografico è, una disquisizione sulla carità pelosa, sui suoi effetti e le reali motivazioni, che secondo Eduardo hanno ben poco di cristiano.
La beneficenza, in questo caso, fa bene soltanto a chi la fa mentre priva i destinatari della libertà e li rende quasi schiavi del benefattore, gravati dal peso della riconoscenza.
Il sipario si apre sulla commemorazione funebre di Prospero Ribera con una scenografia totalmente bianca, minimalista, piuttosto surreale che riproduce l’interno di una casa patrizia.
Riunita attorno ad un tavolo, la famiglia Selciano che, ricordando il caro estinto che per 37 anni hanno mantenuto nella loro casa come ospite fisso, si gloria e si compiace della propria generosità.
Ma improvvisamente a turbare il quadretto familiare arriva dal nulla l’inquietante figlio del defunto, il quale reclama per sé il posto del padre affermando che tutto si può ereditare, anche il ruolo di beneficato.
La tesi pur se paradossale è sostenuta in modo talmente forte e coerente da riuscire a smascherare il buonismo ipocrita della società perbene, di cui i Selciano sono l’emblema.
Nel cast il bravissimo Geppy Gleijeses come “l'erede” del titolo, affiancato da un convincente Umberto Bellissimo, capofamiglia dei Selciano e figlio del benefattore e da Leopoldo Mastelloni che scava nel profondo il personaggio di zia Dorotea.
Una commedia amara, rappresentata in modo asettico attraverso una recitazione quasi mimica, che rende il tutto poco coinvolgente e distante.
[vanessa menicucci]