Primo
film per l’assistente alla regia dei fratelli Andy e
Larry Wachowski, creatori della fortunata trilogia di Matrix
con Keanu Revees. Tratto da una interessante serie a fumetti,
scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd, edita in
bianco e nero tra il 1982 e il 1985 (poi diventata libro unico),
V per Vendetta è un film
ibrido. Accosta i volteggi e movenze del film di genere alle
linee narrative del percorso socio formativo, mischiando gli
estremismi dell’uno e dell’altro in due ore di
particolare interesse.
Il film si prefigge valori alti e ideali di resistenza quali
la democrazia, la tolleranza, il coraggio in una nazione invasa
dall’odio e dall’egoismo. In un’ipotetica
Londra futurista controllata politicamente dall’egemonia
di un dittatore simil-hitleriano, dove le minoranze sono bandite
e soggiogate e il coprifuoco avverte di un pericolo costante,
un eroe, V (Hugo Weaving), dietro la maschera ispirata al
cospiratore Guy Fawkes che il 5 novembre 1605 cercò
di far saltare in aria il Parlamento britannico, compie azioni
sovversive al suon di Chaikowskj. Anche Evey (Natalie Portman),
dal tragico passato familiare, sarà coinvolta nei piani
di democratizzazione estrema concepiti da V, fino a raccoglierne
i sogni di realizzazione e assecondarne le volontà.
V (doppiato da Gabriele Lavia) mischia influenze tra le più
svariate, tra movenze e parole di un teatrante sul palco,
pescando nel passato figure quali Il fantasma dell’opera
e il Conte di Montecristo, l’anima nera di Batman e
qualche sfumatura all’arma bianca di Zorro e probabilmente
il senso del dovere sociale di Robin Hood.
Il film risulta essere “impegnato” sotto vari
aspetti perché profonde elementi sociali forti e sensibilizza
la massa alla cura delle relazioni interpersonali e all’educazione
sentimentale col prossimo nel rispetto dei valori della vita,
muovendo stati interiori tramite le parole e una poesia scura
come l’ombra di un destino incerto, ma si disperde anche
spesso per la sua natura cartoonesca ed estrema, nei combattimenti,
nelle troppo sottolineate coincidenze, nell’essere suo
malgrado un fumetto metabolizzato in film. Scontri corpo a
corpo inverosimili e flashback di estrema origine tra fiamme
e virus batteriologici ridimensionano una pellicola che a
tratti ci sospende il fiato, colto a riflettere sui valori
dell’esistenza e della società. Ma non si può
certo fargliene una colpa, presupposto anche che i Wachowski
Bros (che hanno scritto la sceneggiatura e hanno diretto la
seconda unità di regia) sono “quelli di”
Matrix con tutti gli annessi
e derivati che implica il caso. Azione, esplosioni e ritmo
sono coordinate bene dall’ottimo montaggio e dalle scelte
stilistiche sul colore e la forza cromatica, mentre sacrificio,
volontà e cultura intellettuale trovano troppo spesso
improbabili dialoghi, talvolta un po’ forzati e fittizi,
forse il punto più debole del lavoro. Tuttavia è
giusto ricordare ancora la coerenza al fumetto, primigenio
ispiratore del film. E i fumetti possono permettersi ciò
che ai film non è consentito. Il finale, mosso da impulsi
di empatia e condivisione, coraggio e obbligo civile, registra
un alto contenuto emozionale visivo, rimandando concetti che
la mia testa ha già elaborato qualche tempo addietro.
Non per iperbole di superbia quindi ma per rimembranza sui
moti della vita e il gioco dei travestimenti interiori oltre
che esteriori, scatta l’autocitazione: «Siamo
eroi proprio perché normali. Ma non ditelo a nessuno
o dovremo tutti, prima o poi, portare la maschera sul volto»
(“Spiderman & Soci: supereroi e storie di nostalgie”,
da www.ilGrido.org, sezione Archivio, Anno I, Novembre, 2004).
Nessuna profezia, solo intuito. Siamo persone. Normali.
[alessandro
antonelli]
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