Il
film sorpresa di questo Natale è senza ombra di dubbio
Still Life, pellicola
rivelazione dell'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica
di Venezia, diretto dall'italiano trasferito a Londra Uberto
Pasolini.
Noto per essere stato il produttore del film fenomeno Full
Monty (1997), dopo aver debuttato alla regia
con una gradevolissima commedia come Machan
(2008), Pasolini cambia completamente registro con questo suo
secondo film nato da una suggestione che lo colse in seguito
alla morte dei genitori ed il divorzio dalla moglie. “La
sensazione di entrare in una casa senza luce, senza rumori e
senza odori. Il mio protagonista sono io, con la differenza
che al contrario di lui sono consapevole della necessità
di combattere la solitudine e rimanere aperti al mondo. Il titolo
racconta questo conflitto: STILL significa allo stesso tempo
immobile (aggettivo) e ancora (avverbio).
Per cui vita immobile/ancora vita è il conflitto
raccontato nel film.”
Diligente e premuroso, il solitario
John May (uno strepitoso, toccante, calibrato e misconsociuto
Eddie Marsan) è un grigio impiegato del Comune incaricato
di trovare il parente più prossimo di coloro che sono
morti in solitudine. Quando il reparto viene ridimensionato
a causa della crisi economica, John dedica tutti i suoi sforzi
al suo ultimo caso, che lo porterà a compiere un viaggio
liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla
vita.
Un percorso,
quello raccontato da Pasolini, di ritorno alla vita che passa
paradossalmente attraverso la morte. Uno stile asciutto,,
apparentemente distaccato, dai toni saturi e freddi che rispecchia
il mondo della burocrazia e del piccolo e solitario mondo
del protagonista. Racconta ancora il regista:” Con Still
Life, sapevo di voler realizzare un film statico,
proprio come allude il titolo. I miei riferimenti visivi sono
stati i film di Ozu, con le loro immagini di vita quotidiana
di grande quiete e al tempo stesso di immensa potenza”.
Ed il film scorre quieto attraverso questa serie di ossimori
tematici ed estetici che colpiscono, seducono, commuovono
fino alle lacrime con un finale, che contrariamente al tono
generale del film, apre alla speranza.
Un film riuscito e compiuto grazie
all'interpretazione del protagonista Eddie Marsan, capace
di far emergere le complessità del personaggio nella
staticità della recitazione. “La solitudine di
John May è intrinseca al film, ma lui non ha percezione
del proprio isolamento, non si rende conto che esiste un altro
modo di vivere”, afferma Pasolini. “Abbiamo la
tendenza a dare per scontato che se noi la pensiamo in un
certo modo anche tutti gli altri la pensano allo stesso modo
e nel caso della solitudine e dell'isolamento proiettiamo
le nostre paure sulle persone che ci circondano. Ci sono persone
la cui vita privata appare vuota, che tuttavia hanno un'autosufficienza
emotiva e si sentono realizzati in altri ambiti della propria
esistenza, per esempio nel lavoro. Di per sé, la vita
di John May è piena, piena delle esistenze dimenticate
a cui lui si dedica. E benché possiamo non voler vivere
la nostra vita nella “immobilità”, è
importante che non ci sentiamo lontani da lui. E, ovviamente,
proviamo un grande piacere quando, nel corso del film, John
inizia ad aprirsi e sperimenta nuovi piatti, si reca in luoghi
che non aveva mai visitato, divide una bottiglia con due senzatetto…
La maestria e l'umanità di Eddie hanno portato verità
nelle azioni e nei piccoli cambiamenti che segnano la vita
di John May”.
Un film
sulla vita e sulla morte, sulla famiglia e sulla comunità
assolutamente profetico per i giorni presenti, che offre una
possibile soluzione o via per affrontare le difficoltà
che la crisi di questi anni propone. Un aprirsi agli altri,
un apertura di porte apparentemente arrugginite, un ottimismo
non ottuso di fondo che pone Still
Life allo stesso livello emotivo del capolavoro
di Frank Capra La vita è
meravigliosa. E se lo è anche per John
May, può esserlo per ognuno di noi.
[maria mineo]