La premessa
non era delle migliori: “L’impulso di realizzare
"Machan" nasce dalla scoperta di un fatto realmente
accaduto – racconta il regista – che mi ha fatto
venire voglia di affrontare la questione delle politiche sull’immigrazione
dell’Occidente in maniera non didattica, ma piuttosto
umoristica.”
Il risultato è una commedia multietnica che segna lo
scoppiettante debutto alla regia di Uberto Pasolini, produttore
indipendente di Palookaville e soprattutto Full Monty. E proprio
da quest’ultimo, come una formula vincente replicata
con un minimo di innovazione, che bisogna partire.
Sri Lanka, una bidonville a Colombo. Manoj e Stanley trano
a campare affiggendo manifesti per le strade in attesa che
la loro ennesima richiesta di un visto per l’Europa
venga accettata. Il primo è un barista con il mito
dell’Occidente, il secondo, un venditore ambulante di
frutta oberato da pesantissimi debiti, due zie pazze e un
fratello minore che sta imboccando la strada del crimine.
Dopo l’ennesimo diniego del visto, presi dallo sconforto
e dalla derisione di amici e conoscenti, i due vengono a conoscenza
di un torneo di pallamano da svolgersi in Baviera, la possibilità
di entrare in Europa dalla porta principale: iscriversi al
torneo come la Squadra nazionale di Pallamano dello Sri Lanka.
L’unico problema è che i nostri non sanno cosa
sia il gioco della pallamano e non esista nello Sri Lanka
una federazione di pallamano. Ma sono dettagli che i nostri
riusciranno ad evadere grazie all’entusiasmo, all’ingegno
ed a un pizzico di follia che finisce per contagiare un gruppo
variegato di personaggi irresistibili.
Ed è proprio nella varietà dei caratteri e delle
diverse componenti etniche, religiose e culturali che formano
la variegata popolazione dello Sri Lanka dipinte a tinte forti
dalla sceneggiatrice Ruwanthie de Chickera, autrice teatrale
cingalese assai attenta ai temi sociali, che risiede l’originalità
di una pellicola capace di alternare momenti di sincera commozione
a parentesi umoristiche grazie ad un cast composto prevalentemente
da attori alla prima esperienza cinematografica o da non-professionisti
– dall’avvocato al contadino, fino ai ragazzini
di strada.
Un film capace di parlare di un fenomeno come quello dell’immigrazione
attraverso i toni leggeri, divertenti e grotteschi della commedia,
senza negare da una parte il sorriso e dall’altra l’oblio
del pensiero e della riflessione.
[fabio melandri]