Cosa succede
quando l'uomo gioca a fare Dio? Clive (Adrien Brody) ed Elsa
(Sarah Polley) sono due giovani e ambiziosi scienziati. Segretamente
decidono di mescolare DNA umano e animale: il risultato è
qualcosa di straordinario, un ibrido, una chimera chiamata
DREN. Quella che sembrava essere una scoperta in grado di
rivoluzionare il mondo della scienza si rivelerà ben
presto il più grande errore mai commesso.
Splice segna il quarto lungometraggio del regista italo-canadese
Vincenzo Natali, autore di un cinema di fantascienza definito
dalla critica internazionale come post-moderno. Il debutto
fulminante con The Cube, capace
di fondere con estremo talento visionario e basso budget con
la stria di un gruppo di uomini e donne intrappolate all'interno
di uno spazio-dimensionale cubico da cui cercheranno di uscire;
con il sequel Cypher racconta
di un uomo che rimane imprigionato in una realtà paranoica;
per proseguire con una buddy-comedy ambientata nel vuoto:
Nothing.
Ora con la produzione di Guillermo Del Toro (Il
labirinto del Fauno) Natali si trova a disposizione un
discreto budget per una storia che al di là della storia
di fantascienza, pone in evidenza forse sin troppo e senza
risolverli definitivamente, quesiti morali come dove può
spingersi la ricerca scientifica per il bene dell'umanità?
Qual'è il confine tra il bene pubblico ed il profitto
privato? Tra bene e male? Potere e dovere? Lecito ed illecito?
Il film parte veloce senza troppi preamboli per arrivare al
cuore della storia. Sviluppa nella parte centrale un interessante
conflitto psicologico a tre tra i due scienziati e la loro
creatura, mettendo in gioco un passato nebuloso e forse violento
da parte di uno dei due scienziati, e tracce di conflitti
edipici ed incestuosi non risolti. E forse la parte più
interessante del film anche se in un paio di sequenze sfiora
l'aperta ilarità. Alla fine si resta con l'amaro in
bocca di un'occasione non sfruttata in tutte le sue potenzialità.
Natali adotta una regia essenziale, elegante, priva di fronzoli
attraverso la costruzione geometrica di inquadrature illuminate
dalla luce desautorante di Tetsuo Nagata (La
vie en rose). Ne risulta un film freddo, volutamente
asettico, dove i due protagonisti Adrien Brody e Sarah Polley
brillano a luce intermittente.
[fabio melandri]