Nel
dicembre ‘95, all’età di 43 anni, Jean-Dominique
Bauby – dinamico e carismatico direttore di ELLE Francia
– fu colpito da un ictus devastante che ne rese inattivo
il sistema cerebrale e ne cambiò la vita per sempre.
Superato un iniziale stato di coma, si svegliò per
scoprire di essere vittima di una sindrome locked-in –
mentalmente vigile ma prigioniero dentro il suo stesso corpo,
in grado di comunicare col mondo esterno solo attraverso il
battito della palpebra dell’occhio sinistro.
Costretto a confrontarsi con quest’unica prospettiva
di vita, Bauby riuscì a costruire un ricco universo
interiore per trovare dentro di sé le uniche due cose
che non fossero paralizzate: l’immaginazione e la memoria.
All’Hospitale Maritime di Berck-Sur-Mer imparò
un alfabeto completamente nuovo, che codifica le lettere più
frequenti del vocabolario francese. Queste parole, queste
frasi, questi capitoli dolorosamente espressi lettera per
lettera, raccontano la storia di una profonda avventura all’interno
della psiche umana e della battaglia tra la vita e la morte.
Questo
alfabeto riuscì a scardinare la prigione del corpo
di Jean-Dominique, che lui chiamava il suo scafandro, ed aprì
gli sconfinati territori della libertà interiore, da
lui chiamati la farfalla.
Premio per la miglior regia al Festival di cannes, Golden
Globe per il Miglior Film Straniero, Golden Globe per la Miglior
Regia e candidato a 4 premi Oscar (miglior regia, fotografia,
montaggio e sceneggiatura non originale).
Note di produzione
Il
film inizia come il libro. Una luce bianca, accecante, una
danza di colori un po’ sfuocati. Appaiono facce di sconosciuti,
che ci parlano, che gli parlano. Jean-Dominique Bauby capisce
di essere in ospedale, attaccato a delle macchine che lo aiutano
a respirare. Un uomo vestito da dottore viene verso di lui.
Gli fa un franco aggiornamento sulla situazione. Bauby ha
avuto un ictus ed è stato in coma per diversi mesi.
Prova a parlare ma nessuno sembra sentirlo. Il dottore gli
spiega che soffre di una condizione estremamente rara. Il
paziente è interamente paralizzato, come se fosse chiuso
dentro se stesso, tutto il suo corpo intrappolato da una specie
di scafandro. Nel caso di Bauby, l’unica cosa che funziona
è la sua palpebra sinistra. E’ la sua ultima
finestra sul mondo e il suo unico metodo di comunicazione.
Un battito di ciglia per dire sì, due per dire no.
Il cervello, da parte sua, funziona alla perfezione. Bauby
può sentire, capire, ricordare, ma non può più
parlare. Oltre la palpebra sinistra, ci sono altre due cose
che funzionano ancora – l’immaginazione e la memoria.
La farfalla. Da questo punto di vista decide di raccontare
la sua storia. Non come un’intervista, ma come un libro.
Impara a memoria le frasi della sua storia e poi, utilizzando
il metodo sviluppato dalla sua logopedista, le detta quello
che vuole dire lettera per lettera, sbattendo le ciglia quando
viene pronunciata la lettera corretta.
Un anno
e due mesi nella stanza 119 dell’Ospedale Marittimo
di Berck e il suo libro è finito. E’ morto dieci
giorni dopo la pubblicazione. Lo scafandro e la farfalla è
stato pubblicato dalle Edizioni Robert Laffont nel 1997 ed
è stato un grande successo. E’ stato tradotto
in molte lingue e i lettori si sono universalmente commossi
davanti a una storia che sarebbe potuta succedere a ognuno
di noi. Jean-Dominique Bauby, il direttore di un’importante
rivista di moda, Elle, era stato un grande seduttore. Aveva
avuto diverse vite e aveva avuto successo in tutte. Aveva
avuto cura della sua salute e del suo aspetto. L’ictus
era stato improvviso e ingiusto come il destino stesso. E
lui lo vide, effettivamente, come un segno del destino. Aveva
vissuto la sua vita di giornalista con passione frenetica
e non si era mai reso conto di cosa fosse veramente importante.
I suoi bambini.
Non può scrollarsi di dosso questo senso di colpa.
Quasi un anno prima, era andato via di casa, aveva lasciato
i suoi figli e sua moglie e non aveva ancora avuto il tempo
di cominciare una nuova vita. E si è fermata improvvisamente
il 9 dicembre 1995. Prima dell’ictus aveva firmato un
contratto con le Edizioni Robert Laffont, per scrivere un
moderno adattamento, la versione al femminile de Il conte
di Montecristo. Un sacrilegio simile poteva spiegare la sua
terribile punizione. “Un capolavoro non si tocca”.
Jean-Dominique si vede come Noirtier de Villefort, un personaggio
misterioso, depositario di gravi segreti, condannato al silenzio
e intrappolato su una sedia a rotelle, che può comunicare
solo con gli occhi. Il libro di Bauby è un vero atto
letterario. Il potere della sua storia lo ha reso uno scrittore.
Un destino tragico l’ha trasformato in un artista.
La storia di Jean-Dominique Bauby assomiglia alla vita di
un artista che vive una battaglia fra se stesso e gli altri.
La malattia, come la malattia mentale o il genio, è
fonte di esclusione e fraintendimento. Per sfuggire al suo
destino, per sfuggire alla crudeltà umana, si può
solo contare su se stessi. Sull’intelligenza, sulla
creatività e sull’eroismo. Attraverso la sua
scrittura, Jean-Dominique Bauby prolunga la sua vita al di
fuori di lui, al di fuori del suo corpo. Il potere del sogno
e del pensiero gli consentono di attraversare ogni confine.
Aveva fatto promettere a sua moglie che avrebbe fatto adattare
il libro per il film, come raggiungimento di questa trascendenza.
Ma la singolarità e l’autenticità de Lo
scafandro e la farfalla preclude un adattamento classico,
diretto. Portare sullo schermo un romanzo così commovente
richiede un forte senso estetico e un’attenta costruzione
del film nel tentativo di reinventarlo e adattarlo ai bisogni
di questa storia in cui il protagonista non parla mai. Quando
Kathleen Kennedy, associata alla Dreamworks, ha comprato i
diritti del libro, si è concentrata proprio su questo
aspetto. Ha scritturato Ronald Harwood (sceneggiatore degli
ultimi due film di Roman Polanski, Il Pianista e Oliver Twist)
per la sceneggiatura. Mantenendo la struttura di fondo del
libro, Harwood ha cercato di posizionare la storia fra movimento
e immobilità. Kathleen Kennedy poi ha avuto l’idea
di chiedere a Julian Schnabel di dirigere il film –
solo lui avrebbe potuto filmare il viaggio interiore di Bauby.
Schnabel aveva scoperto il libro in un modo molto personale,
attraverso un amico che adesso non c’è più.
Era molto interessato alla tecnica di narrazione fuori campo
del film – il pubblico è l’unico confidente
del protagonista. Nessuno nel film sa cosa stia succedendo
nella sua testa – lo sa solo il lettore o lo spettatore.
All’inizio il progetto era dell’Universal, poi
è passato alla Pathé, che lo ha prodotto con
Jon Kilik, il produttore di tutti i film di Julian Schnabel.
Schnabel ha deciso di girare il film in francese – secondo
lui non c’era altro modo. Ha scelto attori francesi
– a partire da Mathieu Amalric, che aveva notato nel
1999 a San Sebastian nel film Fin août début
septembre. Quando aveva lavorato con lui in Munich di Steven
Spielberg, Kathleen Kennedy aveva subito pensato che sarebbe
stato perfetto per quella parte. Julian Schnabel le aveva
già parlato di lui.
Il resto
del cast corrisponde a delle scelte precise. Ogni ruolo, senza
eccezioni, è interpretato da attori conosciuti –
Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Anne Consigny,
Patrick Chesnais, Niels Arestrup, Olatz Lopez Garmendia, Jean-PIerre
Cassel, Marina Hands, Emma de Caunes, Isaach de Bankolé
e Max Von Sydow sono gli attori principali. Il direttore della
fotografia è Janusz Kaminski, che ha lavorato in molti
film di Spielberg.
Julian Schnabel ha deciso di fare questo film non solo perché
il tema si adatta molto al suo tipo di cinema, ma anche perché
era molto coinvolto a livello personale. L’ha molto
colpito il rapporto fra Jean-Dominique Bauby e suo padre e
le scene con i due personaggi sono molto commoventi. La sfida
iniziale è proprio il cuore del progetto. La prima
metà è girata dal punto di vista di Jean-Dominique
Bauby. Le immagini a volte sono fuori fuoco, a volte brillanti
e piene di colore, altre volte accecanti. Julian Schnabel
gira come dipinge, attaccato alla pelle, alla pellicola. L’erotismo
nelle inquadrature di bocche, cosce, colli, fa pensare a un
dettaglio di un quadro. I set, per tutte le loro stranezze
e i loro lussi, sono magici. Bauby aveva soprannominato un
determinato punto dell’Ospedale Marittimo di Berck “Cinecittà”.
Gli piaceva molto il fascino di quel luogo, l’immaginario
geografico di uno studio cinematografico. Con una vera presa
di posizione, il monologo interiore di Jean-Dominique viene
raccontato da una voce fuori campo. Viviamo l’esperienza
insieme a lui, nello stesso tempo e nello stesso luogo.
La musica accompagna i momenti di disperazione e i momenti
di rinascita. Julian Schnabel pensa che la vita di Jean-Dominique
Bauby cominci dopo l’ictus, quando si rende conto di
chi è veramente. E’ nato di nuovo, sotto forma
di farfalla.
La prima
parte è in prima persona. Attraverso l’alfabeto
e il battito delle ciglia, Jean – Dominique riesce a
comunicare con coloro che gli stanno intorno. La sua parola
è una sorta di scrittura. “La mia prima parola
è IO. Comincio con me stesso.” Usando questa
tecnica riesce a uscire da se stesso, da scappare dal suo
scafandro, tornare in superficie. La seconda parte è
girata dall’esterno – la macchina da presa filma
Bauby che vive la sua nuova vita e mostra che attraverso il
suo lavoro di scrittore ha ritrovato la dignità e la
vita. L’interpretazione di Mathieu Amalric è
unica – a metà fra la padronanza di un corpo
deforme e l’espressione orale dell’emozione. La
tragedia non preclude l’umorismo. Questo film è
una lezione di vita, non in senso moralistico, ma dell’energia
che ne deriva. Ogni istante di questo film ci può insegnare
qualcosa.
Note
di regia: Julian
Schnabel
“Sono
stato cieco e sordo o ci è voluta l’amara luce
di un dramma per trovare la mia vera natura?” chiede
Jean-Dominique Bauby, rivolgendosi a se stesso e a tutti noi.
Ci vuole la sindrome locked-in per rendere cosciente un essere
umano e per creare empatia con gli altri? Ci dobbiamo ammalare
perché gli angeli vengano a salvarci?
Mio padre
è morto a 92 anni e non è era mai stato realmente
malato in tutta la sua vita. E’ stato felicemente sposato
con mia madre per più di sessant’anni. La maggior
parte delle persone metterebbero la firma per avere la vita
che ha avuto lui ma, non essendo mai stato malato, era impreparato
e terrorizzato dalla morte. Alla fine della sua vita ha vissuto
con me e mia moglie, ma non sono riuscito a risparmiargli
questa paura. La vita non può essere solo dolore, caos
sessuale e nulla. Ci deve essere qualcos’altro.
Quando
Jean-Dominique Bauby era in piena salute, atletico e intelligente,
era un autore qualificato. Era uno scrittore che si conformava
al successo. Attraverso la sua paralisi e la sua rinascita
in veste di occhio – il punto di vista di quello che
lui chiama la farfalla – indaga sulla sua vita e sui
paradossi della vita in generale, portando a termine un lavoro
che ha un profondo effetto su chiunque lo abbia letto.