Julian
Schnabel è nato a Brooklyn, NY nel 1951.
A 15 anni, si è trasferito con la sua famiglia
a Brownsville, nel Texas. Ha studiato all’Università
di Houston, prendendo un BFA ed è tornato a New
York nel 1973 per seguire un Corso di Studi Indipendenti
al Whitney Museum. Nel 1978 Schnabel ha fatto il suo primo
dipinto “The Patients and the Doctors”.
La sua prima mostra è stata fatta nel 1979 alla
galleria Mary Boone di New York. Fin da quel momento i
lavori di Schnabel sono stati esposti in tutto il mondo.
I suoi dipinti, le sue sculture e i suoi lavori su carta
sono stati oggetto di retrospettive al Centre Georges
Pompidou di Parigi, alla Whitechapel Gallery di Londra;
allo Stedelijk Museum di Amsterdam; alla Tate Gallery
di Londra; e al Whitney Museum di New York. Nel 1996 ha
scritto e diretto Basquiat,
un film sul suo amico, artista newyorkese, Jean Michel
Basquiat. IL suo secondo film, Prima
che sia notte, ha vinto il Premio della Giuria
alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2000 e ha fatto
guadagnare a Javier Bardem una nomination come Migliore
Attore agli Oscar. Nel 2004 sono state fatte delle retrospettive
dei lavori di Schnabel alla Schirn Kunsthalle di Francoforte;
al Palacio Velazquez a Madrid e alla Mostra d’Oltremare
a Napoli. Quest’estate sono state fatte altre mostre
su di lui a Palazzo Venezia, a Roma; allo Schloss Derneburg,
a Derneburg, in Germania; alla Rotonda della Besana, a
Milano; alla Tabacalera, a Sen Sebastian. Julian Schnabel
vive con sua moglie Olatz e la sua famiglia fra New York,
Montauk, NY e San Sebastian.
Come
si è avvicinato a questo progetto e perché
ha scelto di portare la storia di Jean-Dominique Bauby
sullo schermo?
Ero molto amico di un uomo che si chiamava Fred Hughes.
Lavorava per Andy Warhol. Dirigeva la Factory di Andy
Warhol. Fred viveva al 15 di rue de Cherche- Midi, a Parigi,
dove aveva una casa anche Andy. Dopo la morte di Andy,
Fred – che soffriva da sempre di sclerosi multipla
– andò peggiorando fino al punto che non
potè più venire a Parigi e dovette rimanere
nel suo appartamento di New York. Viveva su Lexington
Avenue, verso la 90° strada. E finì bloccato
a letto nel suo appartamento, lui stava lì e io
andavo da lui e gli leggevo dei libri. Non poteva più
parlare. Stava steso lì e mi guardava mentre leggevo.
Aveva un infermiere che si chiamava Darin McCormack, lui
mi diede una copia de Lo scafandro e la farfalla. Avevo
sempre pensato di fare un film su Fred perché aveva
avuto una vita così attiva e poi era rimasto prigioniero
del suo corpo. Qualche anno fa è morta mia madre,
a 89 anni. E poi mio padre. Sono stati sposati per sessant’anni.
Mio padre, malato di cancro da quando aveva 83 anni, ne
aveva quasi 92, aveva tenuto a bada la sua malattia perché
si occupava di mia madre. Ma dopo che lei era morta…
Vivevo
nel mio studio. Anche mio padre viveva lì. Era
Natale, dovevo portare i bambini da qualche parte per
le vacanze e avevo bisogno di qualcuno che si occupasse
di mio padre perché non poteva venire con noi.
Chiamai Darin McCormack. Così venne a casa mia
per stare con mio padre. Quando arrivò la sceneggiatura
dello Scafandro e la farfalla
da Kathy Kennedy, mio padre aveva terribilmente paura
di morire e io pensavo che mi sarebbe molto piaciuto aiutarlo
a non aver paura…Ma non ci sono riuscito. Era terrorizzato
perché non era mai stato male. Tempo prima avevo
scritto una sceneggiatura per il film Profumo
che non era mai stata utilizzata. Bernd Eichinger, l’uomo
che aveva comprato i diritti, non voleva fare il film
che io avrei voluto fare. C’è una cosa che
Grenouille aveva in comune con Jean-Dominique Bauby. In
entrambe le storie, il pubblico è il confidente
del protagonista. Sappiamo cosa succede nella testa di
Grenouille e sappiamo cosa succede nella testa di Jean-Do.
C’erano molte cose che avrei voluto mettere in Profumo
che ho potuto mettere in questo film. Ero libero di fare
quello che volevo. In un caso la libertà dell’olfatto
di Grenouille, nell’altro la libertà dell’immaginazione
di Jean-Do. Potevo attraversare il tempo, potevo fare
qualsiasi cosa. Per me, come regista, come artista, era
una grande opportunità poter mettere qualsiasi
cosa volessi nella struttura di un film. Potevo costruire
la mia storia, il mio linguaggio. Sapevo che avrei dovuto
fare il film in Francia, in francese, nello stesso ospedale.
Perché se non lo potevo fare nell’ospedale
dove era stato lui, non penso che avrei avuto le sensazioni
giuste. E per quanto riguarda il modo in cui la storia
è raccontata, anche se è una storia universale,
è stata raccontata da un francese. Così
sono andato a Berck, in ospedale e le persone sono state
veramente carine e tutti volevano che io facessi il film.
Nessuno voleva che facessi questo film in francese. L’unica
persona che voleva davvero che io lo girassi in francese
era Jon Kilik. All’inizio Ron Harwood ci aveva dato
una sceneggiatura in inglese ma io ho continuato a riscrivere
tutto insieme agli attori, cercando di conoscere più
dettagli possibile da Claude Mendibil, Anne-Marie Perrier,
Bernard Chapuis…
Come
ha scelto Mathieu Amalric per il ruolo di Jean-Dominique
Bauby?
All’inizio il film lo doveva fare Johnny Depp. Tracy
Jacobs, che è l’agente di Johnny, aveva parlato
con Kathy Kennedy. Johnny voleva fare il film con me perché
ci piace lavorare insieme. L’avrei circondato di
francesi e lui avrebbe parlato francese. Ma poi era troppo
occupato con Pirati dei Caraibi e allora non ebbe più
tempo per fare il nostro film. Allora Kathy Kennedy pensò
a Eric Bana o un altro attore americano. Ma qualche anno
fa, ero in giuria al Festival di San Sebastian e vidi
un film che si chiamava Fin août, début septembre.
Consegnammo a Jeanne Balibar il premio come migliore attrice
quell’anno. Ma io mi ricordavo di Mathieu Amalric.
E ho subito pensato che sapevo chi avrebbe dovuto interpretare
questo ruolo. E ho fatto il suo nome a Kathy, lei non
lo conosceva. E’ passato del tempo. Poi due o tre
anni dopo girano Munich e Kathy conosce un giovane attore
che si chiama Mathieu Amalric. Torna dalla Francia e mi
dice che ha conosciuto un attore francese veramente fantastico
che potrebbe interpretare questa parte, allora possiamo
fare il film in francese. Io le chiedo come si chiama
questo attore e lei mi dice Mathieu Amalric, allora io
dico che è una grande idea. Così l’ho
chiamato. Ci conoscevamo perché qualche anno fa
Olivier Assayas e Jeanne Balibar mi erano venuti a trovare
a New York. Mathieu non era venuto ma sapeva chi fossi
e io sapevo chi fosse lui. Così è venuto
per il Ringraziamento e abbiamo cominciato a leggere la
sceneggiatura insieme. Sapevo che se avessi girato questo
film in francese, non avrei voluto essere un turista.
Il mio francese non è perfetto però conoscevo
bene il testo. Ho lavorato con tutti gli attori, analizzavamo
ogni singola scena e io chiedevo “Cosa avreste detto
in questa situazione?” Perché le parole devono
venire fuori dalle loro bocche. Ho riscritto la sceneggiatura
con tutte le persone che avrebbero fatto parte del film.
E ho trovato nuovi elementi. Per esempio, Claude Mendibil
ha detto ad Anne Consigny che quando è entrata
per la prima volta nella stanza di Jean-Do lui le ha detto
“Niente panico”. E quando Anne è entrata
e abbiamo iniziato a girare la scena lei me l’ha
detto, allora io ho suggerito di aggiungere quella frase
nella sceneggiatura. Lavoro anche come un pittore, sono
in un posto, reagisco alle cose che mi circondano. Avevo
notato che il mare ogni giorno indietreggiava di 500 metri
e poi tornava in avanti. Questo frangiflutti sarebbe stato
sommerso dall’acqua e poi sarebbe riemerso. Così
ho detto “Va bene”. C’è una mia
foto in cui ho Mathieu sulle spalle, lo metto sopra a
questo frangiflutti con la sedia a rotelle, in acqua.
Questa scena non c’era nella sceneggiatura. E la
stessa cosa per la scena dell’uomo che lo tiene
in braccio in piscina. Ho visto la piscina e ho detto
“Ok, mettiamolo lì dentro”. Sembrava
la Pietà. Daniel, l’uomo che interpreta la
scena, era stato il terapista di Jean-Do.
Che
rapporto ha avuto con il libro?
Ci sono tornato sopra moltissime volte. Mi piaceva molto
quella bellissima immagine di lui che guarda il soffitto
in piscina. Volevo trovare del testo da usare in quella
scena. E ho scelto la parte sulla pentola a pressione.
E poi improvvisamente arriva quest’ altra parte
su Eugenie. Quando lui dice “E’ un sogno”.
Lei entra, lo bacia come se lui potesse stare in piedi
e poi lui sta di nuovo sulla sedia a rotelle. E dice,
“Quando nuoti nelle nebbie di un coma, non hai il
lusso di vedere i tuoi sogni evaporare.” Penso che
la differenza fra questi due posti sia sempre più
sottile. Non si poteva distinguere fra i sogni e la realtà.
Quando sei malato è così. E’ stato
così con mio padre. Mio padre cominciò…Chiesi
a Darin McCormack di scrivere quello che mio padre diceva.
Ci ammaleremo tutti un giorno. Diventeremo il centro dell’attenzione
e poi diventeremo invisibili. Succede a tutti, se conosci
qualcuno che si sia ammalato o se ti ammali o quando invecchi,
è un problema di coscienza. In un certo senso quello
che Jean-Dominique diceva è, “Quando stavo
bene, non ero vivo, non c’ero, ero molto superficiale.
Ma quando sono tornato – il punto di vista della
farfalla – Ero rinato come un io.” Così
è potuto diventare un grande scrittore.
Pensa
che la storia di Jean-Dominique si possa paragonare alla
vita di un artista?
Sì, naturalmente, la scrittura l’ha salvato.
La sua vita interiore ha preso forma perché lui
ha iniziato a scrivere il libro. Lo stesso succede con
l’arte. Il libro gli ha dato una ragion d’essere,
ha dato la vita a lui, alla sua famiglia. Grazie al libro,
per loro, in un certo senso, è come se lui fosse
ancora vivo. E’ un modo di affrontare il dolore.
Nel
suo lavoro di artista, sia pittore che regista, che posto
ha la letteratura?
Fare cinema è riscrivere, tutto il tempo. Montare
è riscrivere. Quando dipingo non reinterpreto,
non trasferisco nulla. Lo faccio e basta. Non c’è
nessuna trasposizione. Nella scrittura non c’è
trasposizione se stai scrivendo, per esempio, un romanzo.
Ma se scrivi qualcosa che poi sai che diventerà
un film, allora devi trasformare un testo in un’altra
forma. Una volta che hai fatto questa trasposizione, ti
puoi comportare come se stessi dipingendo.
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