Diciamolo
subito e ci togliamo il pensiero. Se il film non fosse proiettato
in 3D, il film passerebbe inosservato suglis chermi italiani;
più probabilmente sarebbe passato una sera di mezza
estate su Italia 1 a riempire palinsesti sempre più
fatti di scarti, fondi di magazzino e repliche di noiosissimi
varietà.
Ma il tentativo di proiettare il fil in 3d, dopo quelli prova
di artoni animati, vedi il Mostri
contro Alieni, circonda la pellicola di smodato interesse
nel pubblico sopratutto giovanile che affolla le sale anche
durante la settimana, di solito avara di soddisfazioni per
gli esercenti cinematografici.
La trama è, più che in casi simili, un puro
pretesto per mettere in scena l'ennesima mattanza, con il
difetto che le morti sono il più delle volte meno "craetive"
che in altre pellicole (la saga Saw
su tutte).
Tom Hanniger minatore della città di Harmony, causa
un incidente in un tunnel che uccide cinque persone e manda
in coma permanente Harry Warden. Esattamente un anno dopo,
durante il giorno di San Valentino, Harry Warden si sveglia
dal coma e uccide brutalmente con un piccone ventidue persone,
prima di venire ucciso dalla polizia. Dieci anni dopo il massacro,
Tom ritorna ad Harmony nel giorno di San Valentino. La sua
ragazza d'infanzia Sarah è ormai sposata con il suo
ex migliore amico Alex, lo sceriffo della città. Ma
quella notte, dopo anni di pace, qualcosa riemerge dall'oscuro
passato della città: un killer armato di piccone e
coperto da una maschera protettiva da minatore. In breve tempo,
Tom, Sarah e Alex realizzano che l'uomo potrebbe essere Harry
Warden tornato a reclamare le loro vite.
Dopo la maschera da hockey, quella da fantasma, il viso bruciacchiato
da genitori infuriati, o il viso di pelle umana "altrui",
ecco che la maschera da minatore con un fallacissimo piccone
entra a far parte della galleria di mostri cinematografici,
di cui San Valentino di sangue
segna il primo capitolo di una possibile saga.
Il regista Patrick Lussier (ex-montatore di Wes Craven per
Scream 3, Cursed,
The Eye) dimostra di conoscere
le regole del genere horror, costruendo almeno un paio di
buoni momenti di orrore, ma il più delle volte sembra
interessato più a cercare l'effetto 3D verso il pubblico,
piuttosto che salvare non dico la verosimiglianza interna
del contesto filmico, ma quanto meno la plausibilità:
passaggi incoerenti, dialoghi trasandati e buchi logici che
il pubblico tarda a riempire troppo preso da picconi, teste
mozzate, pallottole che grazie agli occhialini 3D - addio
alle doppie lenti blu e rosse, oggi sono molto meno fastidiosi
e molto più funzionali - sembrano uscire letteralmente
dallo schermo per invadere la sala. Questo il contesto, o
meglio il contorno di una pellicola che si ricorderà
più per essere stato l'apripista di un filone (l'horror
in 3D se fatto decentemente, funziona) che non per il suo
valore "artistico". Peccato. Un'occasione buttata
via. [fabio melandri]