Laura
ha trascorso gli anni più felici della sua infanzia
in un orfanotrofio vicino al mare, accudita dal personale
e dagli altri bambini orfani che lei ha amato come fossero
fratelli e sorelle.
Trent’anni dopo, torna in quel luogo con suo marito
Carlos e il figlio Simon di sette anni, con il sogno di ristrutturare
e riaprire l’orfanotrofio, a lungo chiuso e abbandonato,
per farne una dimora per bambini disabili.
La nuova casa e i suoi dintorni misteriosi stimolano l’immaginazione
di Simon, e il ragazzo comincia ad intrecciare una tela di
storie fantastiche e di giochi con amici immaginari... Una
pericolosa tela che comincia a infastidire Laura, trascinata
nello strano mondo del bambino che riecheggia di ricordi a
lungo dimenticati e profondamente inquietanti della sua stessa
infanzia. Mano a mano che il giorno dell’apertura si
avvicina, la tensione cresce all’interno della famiglia.
Carlos resta scettico, convinto che Simon stia inventando
tutto nel disperato tentativo di attirare l’attenzione.
Ma Laura lentamente si convince che qualcosa di terribile,
rimasto a lungo nascosto, si aggiri nella vecchia casa, qualcosa
che aspetta di venir fuori per fare del male alla sua famiglia.
Per chi ha apprezzato The Others
di Amenabar, avrà il piacere di ritrovare le medesime
atmosfere, la stessa eleganza formale, brividi in egual misura
che avevano caratterizzato quell’apprezzabile precedente.
The Orphanage parla del terrore
che si nasconde nelle cose di tutti i giorni, cose che mostrano
gradualmente qualcosa di anomalo fino a spalancare le porte
alla pazzia. L’orrore descritto non proviene dall’esterno,
o dalla mente di uno psicopatico, né scaturisce dal
fatto che i personaggi si aggirino in qualche luogo proibito.
E’ un orrore che nasce in un ambiente idilliaco, nel
cuore della famiglia perfetta, costruito attraverso una messa
in scena che sfrutta tutte le potenzialità del linguaggio
cinematografico dal suono, alla fotografia, dai movimenti
di macchina al montaggio, dalla recitazione – la protagonista,
la Belen Rueda di Mare Dentro,
è una personaggio fortemente hitchcockiano, donna,
bionda e problematica – alla scenografia. Fondamentale
a tal proposito Partarríu Mansion, la casa utilizzata
per il vecchio orfanotrofio.“Non cercavo un edificio
enorme, pieno di corridoi interminabili, come in Shining –
racconta il regista Bayona - Volevo qualcosa di più
piccolo e più semplice, ma allo stesso tempo abbastanza
grande da rendere la storia credibile. Partarríu Mansion
ha tutte queste caratteristiche. E’ una grande casa
coloniale che risale alla fine del XIX secolo, con un’atmosfera
davvero misteriosa. Le sue dimensioni sono ingannevoli a prima
vista: il fatto che ciascuna delle sue facciate sia diversa,
dà l’impressione che la casa cambi continuamente.”
The Orphanage segna l’ottimo debutto dietro la macchina
da presa di Juan Antonio Bayona sotto le ali protettrici del
regista e produttore Guillermo del Toro: “Quando ho
letto The Orphanage, mi sono
reso immediatamente conto di avere a che fare con un’eccezione.
La sceneggiatura di Sergio G. Sánchez era la migliore
che mi capitasse di leggere da anni. Dopo appena poche pagine,
mi sono accorto che non si trattava dell’ennesimo sofisticato
rimaneggiamento degli elementi classici del genere: case stregate,
fantasmi, universi paralleli... Questa sceneggiatura aveva
una profondità davvero rara. The
Orphanage è più di un film horror: il
suo ritmo è impeccabile, la sua composizione visiva
straordinaria, non fa affidamento sugli effetti speciali per
far paura allo spettatore, e offre un’interpretazione
molto personale dei luoghi e delle convenzioni del cinema
di genere…” UNa declinazione dark della favola
di Peter Pan, per un film di grande successo in patria e vincitore
di sette Premi Goya tra cui quello per Miglior Regista Esordiente
e Miglior Sceneggiatura. Segnatevi questo nome, Bayona, perché
ne sentiremo presto parlare, sempre che Hollywood non lo chiami…
[fabio melandri]