Un matrimonio
all’inglese segna il ritorno dopo 10 anni dietro la
macchina da presa di Stephen Elliot il geniale e pirotecnico
(vedi la sua biografia)
regista di Priscilla, la Regina del
Deserto.
Per il suo ritorno, si affida alla penna appuntita e sarcastica
del commediografo inglese Noel Coward ed alla sua commedia
Easy Virtue, scritta dall’autore nel 1924, a soli 23
anni e come scrisse un noto critico teatrale a proposito della
sua prima messa in scena: “Easy Virtue è un meraviglioso
esempio dell’abilità di Coward di minare dall’interno
l’alta società, che molti danno per scontato
abbia sempre celebrato.Si tratta di un attacco selvaggio contro
l’ipocrisia dell’inizio degli anni ’20 e
contro il modo in cui essa sfruttava i principi Vittoriani,
già resi obsoleti dalla guerra, per distruggere le
vite di coloro che non riusciva a tenere sotto il suo controllo.
Il risultato è uno studio psicologico della repressione
sessuale, del senso di colpa e di vendetta, sul cui sfondo
si vedono svanire le vecchie certezze e si intravede avanzare
l’era del jazz”.
Noel Coward tende a giocare pesante. L’obiettivo dei
produttori era quella di rendere tale materia adattabile al
gusto moderno del pubblico contemporaneo salvaguardando lo
spirito, il colore ed i temi portanti dell’opera: un
gruppo di persone che lottano per sopravvivere. Irriverenza
ed anarchia erano le chiavi interpretative da utilizzare e
chi meglio di Stephen Elliot poteva fonderle in un unicum
narrativo effervescente e colorato? Così il regista
ricorda il suo approccio al film: “Sciando in Francia,
nel 2004, mi sono rotto la schiena, il bacino e le gambe,
non ho potuto camminare per quasi tre anni. Ho avuto molto
tempo per pensare. Da un po’ meditavo di averne abbastanza
dell’industria cinematografica. Quell’esperienza
mi ha dato la spinta di cui avevo bisogno. Ero proprio alla
ricerca di una buona idea quando Barnaby – il produttore
- mi ha fatto conoscere Noel Coward. Il mio primo pensiero
è stato ‘perchè mai mi parli di Noel Coward?
I film in costume non facevano proprio per me, mai nella mia
vita avrei pensato di fare un film in costume! Ma Barnaby
disse che quella era esattamente la ragione per la quale mi
aveva offerto il film, perciò l’ho letto e mi
sono chiesto: ‘Cosa c’è in questo film?’
Poi, in quel piccolo senso di ribellione che è insito
nel film, in cui una ragazza moderna come Larita sembra essere
stata trascinata in un film in costume e lentamente perde
la testa… E’ lì che ho trovato me stesso
come sceneggiatore. Ho pensato che sarebbe stato divertente.
Ovviamente non mi hanno concesso di aggiungere nessuno dei
miei tipici scherzi triviali, né di travestire gli
uomini da donna, hanno dovuto tenermi a bada.”
Così la storia del matrimonio che non avrebbe dovuto
farsi né ora né mai tra l’americana ed
emancipata Larita (Jessica Biel) e l’inglesissimo John
Whittaker (Ben Barnes), osteggiato dalla di lui stoica e nevrotica
madre (Kristin Scott Thomas) e appoggiato all’indolente
di lui padre (Colin Firth), si trasforma attraverso gli occhi
del più irriverente e pungente australiano, in una
colorata e frizzante guerra anglo-americana travestita da
musical senza balli con punte di sophisticated comedy assai
poco sophisticated.
Presentato ed applauditissimo all’ultima edizione del
Festival di Roma, Un matrimonio all’inglese è
una pellicola che ha un solo difetto: ispira una irrefrenabile
ed irresistibile allegria. [fabio
melandri]