La fonte
d'ispirazione è l'omonimo romanzo di Victor Hugo: I
Miserabili. Nel 1978 i compositori francesi
Alain Boublil e Claude-Michel Schonberg iniziarono a lavorare
all'idea di un'opera musicale tratto dal romanzo. Risultato,
un concept album uscito nel 1980 che ha venduto oltre 260.000
copie. Nel 1982 l'album fu portato in ascolto al produttore
di musical in lingua inglese Cameron Mackintosh. Dalla collaborazione
con Mackintosh unitamente a quella del paroliere Herbert Kretzmer,
nasce Les Miserables
che debuttò a Londra nel 1985 e tutt'ora in scena è
divenuto il musical più longevo del mondo, superando
il record precedentemente detenuto da Cats
al West End di Londra.
Che prima o poi se ne
ricavasse una versione cinematografica (del musical non del
romanzo) era nella logica delle cose: “Les
Miserables – racconta il produttore
inglese – è uno dei più grandi romanzi
sociali che siano mai stati scritti. Hugo ha creato personaggi
e situazioni senza tempo e universali”. Non è
forse un caso che il musical cinematografico veda la sua nascita
proprio in questi anni di profonda crisi sociale, economica,
politica. Oggi, come allora.
Questo preambolo per spiegare
la materia “delicata” con cui gli autori cinematografici
si sono trovati a confrontare con la scelta coraggiosa ed
al contempo rischiosa del regista Tom Hooper, Il
maledetto United e sopratutto Il
Discorso del Re, trionfatore degli Oscar 2012.
A digiuno di musical nel suo curriculum, ma a proprio agio
nelle ambientazioni storiche (autore della miniserie Elizabeth
I con Helen Mirren e Jeremy Irons) Hooper
per il più spettacolare dei musical del West End sceglie
una messa in scena realistica e la più anti-spettacolare
che si potesse immaginare.
L'incipit potrebbe far pensare l'opposto, con la maestosa
sequenza di apertura del mare in burrasca in cui vengono presentati
i due protagonisti/antagonisti che a partire dal campo di
lavoro di Toulon/Digne del 1815 si rincorreranno e affronteranno
in più occasioni fino alla Parigi del 1832 percorsa
dai primi afflati della futura Rivoluzione.
A seguire però
Hooper sceglie una messa in scena intimista, ponendo la sua
attenzione più sui personaggi che non sugli eventi
corali che animarono quegli anni fatti di lotta, sogni e speranze.
Una regia concentrata su primi e primissimi piani, a discapito
di campi lunghi e totali per uno scenario che rimane sin troppo
sullo sfondo.
Puntando quindi sugli
interpreti, in loro risiedono i punti di forza e di debolezza
della pellicola.
Tra i primi annoveriamo
Anne Hathaway, fisico minuto ma una voce ottimamente dosata
ed espressiva nel cantato, protagonista di un pezzo di bravura
e da brividi in I Dreamed a Dream
che le ha fatto ottenere una meritatissima e serissima candidatura
all'Oscar in un ruolo comunque marginale della storia.
Come
funziona ottimamente la coppia Sacha Baron Cohen e Helena
Bonham Carter (Mr e Mrs Thénardier), che reduci entrambi
da un precedente musical dai medesimi toni scuri e malsani
- Sweeney
Todd di Tim Burton - fanno faville e scintille,
come nella sequenza della locanda (Master of the
House).
Le note dolenti, che influiscono
alla fine nel giudizio finale del film, riguarda le scelte
dei due protagonisti, Hugh Jackman nei panni del carcerato
in cerca di redenzione Jean Valjean e Russel Crowe in quelle
dello “sbirro” Javert. Entrambi, fatta tolta la
buona volontà, dimostrano di avere voci poco potenti
per i compiti assegnati dai rispettivi ruoli. E se Jackman
si salva spesso in calcio d'angolo con affanno, Crowe danneggiato
da uno spartito che richiede un altro tipo di voce (vedere
le performance teatrali dell'opera per toccare con mano) ha
una buona presenza scenica (ci mancherebbe altro) ma appena
apre bocca per cantare, brividi corrono lungo la schiena...
e non sono brividi di piacere. Sospettiamo più una
scelta di business piuttosto che artistica per questi due
ruoli, andando a danneggiare un film poco spettacolare che
mostra potenzialità inespresse che fanno sinceramente
un po' rabbia; una grande un'occasione mancata.
Rabbia accresciuta dal
fatto che il film vive di improvvisi pezzi di bravura che
strappano applausi e momenti corali in cui l'emozione travalica
i confini come il finale sulle note di Do You
Hear the People Sing, un monito ai politici
di oggi che si sfidano per le prossime emozioni, perchè
la Parigi del 1832 assomiglia fin troppo all'Italia del 2013
ed allora:
Do you hear the people
sing?
Singing the song of angry men?
It is the music of the people
Who will not be slaves again!
When the beating of your
heart
Echoes the beating of the drums
There is a life about to start
When tomorrow comes!
[fabio
melandri]