“La
perversità è l’arte di trasformare il
bene in male.”
Claude Chabrol
Vedere
l'ultimo film di Chabrol è come se gli Anni Sessanta
e la nouvelle vague non fossero mai passati tra storie di
amour fou, perversioni morbose sempre accennate e mai esplicite
e il buio della mente della provincia francese, lontano dai
riflettori della ville lumiere. Una sportiva decappottabile
si arrampica lungo una provinciale che tortuosamente arriva
fino alla splendida casa di campagna dove da tempo si è
ritirato con la moglie uno dei più grandi romanzieri
contemporanei, Charles Saint-Denis. Alla guida è la
sua editrice, che premurosamente gli fornisce altre copie
del nuovo libro in vista della presentazione che si terrà
a giorni a Lione. Saint Denis è un uomo affascinante,
schivo e riservato, elegante e amante delle citazioni oltre
che delle donne. La moglie che ha sposato lo adora e non nutre
nessun dubbio sulle sue virtù e sulla sua fedeltà.
Il loro idillio sottolineato ed elogiato dall'editrice rasenta
uno scenario da Mulino Bianco.
Chabrol sa come preparare il colpo di scena e montare la tensione.
Nel frattempo un'avvenente conduttrice del meteo bamboleggia
in cerca di una carriera che le permetta di condurre uno show
tutto per lei in prima serata dove possa sfoderare gli occhi
da cerbiatta e il sorriso malizioso. Quando le loro vite si
incrociano nel dedalo di casualità e coincidenze che
il destino ironico e tagliente gli riserva, un fuoco di passione
divamperà bruciando ogni inibizione e ogni freno che
hanno innalzato per difendersi da se stessi e dalle loro fantasie.
Saint Denis e Gabrielle si provocano, non risparmiando le
armi della seduzioni, Saint Denis punta tutto sull'esperienza
e sul fascino dell'intellettuale che sa giocare con le battute
e gli aforismi, mentre Gabrielle usa il suo corpo come Charles
usa le parole, con cinismo e ostentazione. Ognuno si specchia
nell'altro e invece delle virtù domestiche, ci trovano
i vizi e difetti che si rifiutano di vedere in se stessi.
L'altro diventa l'alibi delle proprie inclinazioni mancate,
dei talenti sprecati e delle menzogne che non sanno tacere.
Ma entrambi sanno quello che vogliono e la scommessa su cui
si basa la loro relazione è tutta qui. Chi crollerà
per primo. Chi cederà all'amore, sacrificando le voglie
e i desideri?
Saint Denis è astuto e calcolatore, sa fingere con
la moglie e nel momento stesso in cui ha costruito la maschera
dello scrittore nascosto in un eremo, manipolando la sua identità,
come i famigerati americani sempre degli anni sessanta Pynchon
e Salinger, forse è il momento in cui si espone di
più. Si espone alla passione, allo scandalo e al pettegolezzo.
Mentre Gabrielle non è ingenua come vorrebbe far credere
e assomiglia pericolosamente alle femme fatale del noir di
cui la generazione cinefila della nouvelle vague si innamorava
al cinema. Chabrol registra con sguardo da entomologo gli
scambi e gli sguardi, gli sbandamenti e le metamorfosi che
un uomo e una donna arrivano a costruire per ingannare e ferirsi.
Ma il regista sembra non credere al dolore di un uomo, con
cui ricatta emotivamente la donna e giustifica invece la donna
che quando viene umiliata e punita trova il momento di verità.
Chabrol sa che non basta una dinamica a due e quando l'attrazione
tra il maturo scrittore e l'avvenente ragazza in carriera
perde mordente, rilancia inserendo un terzo personaggio.
Perché una regola fondamentale in una storia d'amore
è raccontare in realtà un triangolo. Il terzo
vertice scelto da Chabrol è l'opposto di Saint Denis.
Un giovane milionario, erede di un impero, instabile e sensibile
che impazzisce letteralmente per Gabrielle e nutre un odio
feroce e gratuito nei confronti del romanzieri. Tra loro un
reciproco rancore che Chabrol non spiega, seminando indizi
e immergendo i personaggi in un clima di paranoia pura e durissima.
Chabrol imprigiona i suoi personaggi, li rinchiude in uno
schema da cui è impossibile fuggire, illudendoli che
la libertà, che la possibilità di rimediare
sia dietro l'angolo e che la felicità sia raggiungibile
con il minimo sforzo. In questa gabbia, in questa tela di
ragno Charles, Gabrielle e Paul si invischiano e si compromettono,
commettendo errori su errori, verso la deflagrazione finale,
verso l'apoteosi del delitto, verso il punto di non ritorno.
La catena di scelte sbagliate che si snoda impercettibilmente
in questa storia di provincia che poteva raccontare un Balzac
o un Maupassant ispirati dai fatti di cronaca quando volevano
descrivere l'animo nero degli esseri umani, diventa a ogni
sequenza sempre più soffocante e ipnotizza lo spettatore
senza dargli mai il tempo di pensare, ma concedendogli il
lusso di avere l'ultima parola sui personaggi.
Ispirato a un episodio realmente accaduto nel 1906 contenuto
in Ragtime di Doctorow, L'innocenza
del peccato (ma il titolo originale rendeva meglio
l'idea della donna divisa e dimezzata tra le due specie di
amore, quello coniugale e quello trasgressivo), Chabrol ne
sposta l'attenzione sullo sguardo femminile, dipingendo un
ritratto di donna che non ha nulla da invidiare alle altre
interpretate dalla sua musa ispiratrice Isabelle Huppert.
Ludivine Sagnier corpo flessuoso e una grazia macchiata dal
peccato insaziabile incarna una Gabrielle tormentata e appassionata
e sa come destreggiarsi tra i desideri maschili di Benoit
Magimel e di Francois Berleand.
[matteo cafiero]