Il
punto di partenza del film è un celebre delitto
passionale: l’omicidio dell’architetto che
ha progettato il Madison Square Garden…
Sì, è la storia di Stanford White, un affermato
architetto di Manhattan che è vissuto alla fine
del diciannovesimo secolo e che era anche un celebre donnaiolo,
assassinato al culmine della sua fama nel 1906 dal marito
della sua amante dell’epoca, un’ex ballerina
di Broadway chiamata Evelyn Nesbitt.
Sono
stati realizzati adattamenti letterari o cinematografici
di questa storia in precedenza?
E.L. Doctorow ne parla nel suo romanzo Ragtime, così
come fa Milos Forman nel suo film tratto dal libro. The
Girl in the Red Velvet Swing di Richard Fleischer, uscito
nel 1955, racconta i fatti in maniera più accurata.
Questa
è la prima volta che lei ha collaborato ad una
sceneggiatura con Cécile Maistre, la sua fedele
primo aiuto regista…
Ho subito capito che sarebbe stata perfetta per affrontare
questa storia. Lei ha scritto una sceneggiatura magnifica,
a cui io ho dovuto apportare solo dei ritocchi minimi.
E’ veramente raro che capiti una cosa di questo
genere con un cosceneggiatore.
Quale
elemento della storia ha suscitato il suo interesse e
quello di Cécile Maistre?
Noi volevamo seguire la realtà di questo piccolo
evento da vicino, per sottolineare, un po’ come
degli entomologi, la straordinaria rivelazione che emergeva
sulla natura umana! Così, ci sembrava essenziale
mettere in scena l’intera relazione, senza preoccuparci
dell’ambientazione, dell’epoca o della psicologia
dei personaggi reali. Mi spingo a dire che questa storia
di cronaca è più facile da immaginare (e
quindi da trasportare sullo schermo) ai giorni nostri
che nell’epoca in cui è avvenuta.
Il
film si apre con un’aria della Turandot e dei titoli
di testa con una luce rossa soffusa…
Io volevo mettere il pubblico sulla strada sbagliata.
All’inizio, siamo completamente immersi nel mondo
romantico di Puccini e poi lo abbandoniamo improvvisamente
quando viene spenta la radio in macchina. A livello visivo,
questo viene espresso dalla transizione brusca tra il
sangue di colore rosso e la realtà, che è
priva di ogni forma di romanticismo…
Noi
veniamo gettati immediatamente in un mondo appariscente
e falso…
In un battito di ciglia, ci spostiamo dagli eccessi delle
sensazioni evocate dall’opera al mondo splendente
della lussuosa casa di Saint-Denis (interpretato da François
Berléand). E’ un universo ingannevole, in
cui questa atmosfera di forte sessualità fornisce
al pubblico un indizio sugli eventi che stanno per accadere…
Questo
mondo ingannevole ci porta in maniera molto naturale all’universo
della televisione...
E’ assolutamente vero! Ho mostrato il dietro le
quinte del mondo della televisione come è effettivamente,
con il bluescreen su cui vengono sovrapposte le immagini,
mentre il presentatore gesticola nel vuoto. Quello che
mi interessava, è che si tratta di un mondo fatto
di trucchi e illusioni, che riflette completamente il
mondo di apparenze e falsità in cui si muovono
questi personaggi.
Ogni
personaggio viene percepito dagli altri in maniera distorta…
E’ proprio così. Loro si vedono in maniera
distorta perché per la maggior parte del tempo
sono decisamente autoindulgenti. Questo è vero
soprattutto per il personaggio di Benoît Magimel,
che è più folle degli altri. Lui è
veramente schizofrenico, diviso tra la colpa e l’innocenza.
Ha veramente ucciso suo fratello nel bagno da bambino?
Non lo sapremo mai…
Nel
film ritroviamo uno dei suoi temi preferiti: la lotta
di classe.
Noi affrontiamo due classi sociali che si scontrano in
maniera dura: i ‘ricchi storici’, rappresentati
dai personaggi di Caroline Sihol e Benoît Magimel,
e i falsi potenti della televisione e dell’editoria,
che non hanno altro che un potere temporaneo.
Come
si colloca Gabrielle Deneige – interpretata da Ludivine
Sagnier – in tutto questo?
Lei rimane ancora integra, ma è tentata di cedere.
Così, incarna perfettamente la ‘ragazza divisa
in due’ del titolo originale. Gabrielle è
una giovane donna innocente nella sua credulità.
Adoro la scena in cui si presenta allo studio di Saint-Denis
con una piuma sul sedere. Lui le chiede se non si senta
umiliata, ma lei non pensa assolutamente di essere ridicola!
E’ una prova fantastica del suo spirito di sacrificio,
che è proprio l’elemento che le persone che
la circondano non riescono a sopportare.
Possiamo
descrivere il personaggio di Berléand come un ‘opportunista
del piacere’?
Lui prende tutto il piacere che può ottenere, ma
non è un personaggio completamente spregevole.
Credo che lui abbia assolutamente ragione nel chiedersi
se la nostra società stia andando verso il puritanesimo
o la decadenza.
Lei
accumula dei ‘luoghi segreti’, come il pied-à-terre
di Saint-Denis e il club privato in cui lo scrittore porta
Gabrielle…
Riflettono il mio desiderio di esplorare il tema della
perversione senza mai mostrarlo. Questo è un film
assolutamente casto, ma in cui tuttavia i personaggi sono
ossessionati dalle idee più perverse. Io sono stato
aiutato molto dal personaggio di Mathilda May, che emana
una strana sessualità. Appena entra in scena, ci
si chiede in che mondo ci siamo avventurati.
Eduardo
Serra è ancora una volta il suo direttore della
fotografia...
Noi abbiamo sviluppato una grande complicità nel
corso degli anni, lui sa subito cosa mi piace e cosa non
amo. La sua competenza è tale che i significati
nascosti negli elementi della scenografia emergono anche
senza che ci sia bisogno che lui li sottolinei.
Il
ritmo è molto deciso. Può parlarci un po’
del montaggio?
Il titolo originale del film è Una ragazza divisa
in due, così volevo che l’idea della rottura
fosse sempre presente. Molto spesso, delle scene terminano
prima della loro naturale conclusione o, al contrario,
si prolungano più di quanto si potrebbe pensare.
Tuttavia, non c’è nessuna intenzione di enfatizzare
l’immaginazione dello spettatore.
E
la composizione delle inquadrature?
Quando i personaggi fuggono da se stessi, li ho ripresi
di profilo, per sottolineare che stanno rivelando solo
una piccola porzione della verità. In ogni caso,
c’erano delle battute che gli attori non potevano
esprimere di fronte alla cinepresa!
Come
ha affrontato la fase di casting?
François Berléand e io abbiamo scoperto
una grande complicità quando abbiamo lavorato a
La commedia del potere. E’ una persona che adoro
avere sul mio set. Per quello che so, ha molto successo
con le donne e io volevo mostrare proprio questo aspetto
del suo personaggio.
Erano diversi anni che desideravo lavorare con Ludivine
Sagnier, ma mi sono deciso a sceglierla nei panni di Gabrielle
solo dopo aver visto la sua interpretazione di Campanellino
in Peter Pan!
Avevo già diretto Benoît Magimel ne Il fiore
del male e La damigella d’onore, in cui interpretava
due personaggi molto diversi. In questo film si è
preso dei grossi rischi nel calarsi così a fondo
nella schizofrenia del personaggio. Inoltre, è
incredibile la capacità di Benoît di interpretare
dei personaggi di qualsiasi classe sociale.
Quali
erano le limitazioni imposte a Matthieu Chabrol mentre
componeva la colonna sonora?
La cosa più importante è che io non volevo
esplosioni liriche o romantiche durante il film, ma l’esatto
opposto dell’aria che si sente all’inizio.
Così, lui doveva iniziare con dei ritmi ripetitivi
e atonali che dessero vita ad un’atmosfera piuttosto
fredda. In effetti, io speravo di far colpo più
sulla testa dello spettatore che sul suo cuore. E’
una musica che si pone delle limitazioni e che mostra
una certa brutalità. Io sono particolarmente felice
dei quattro colpi finali, che sembrano finire per poi
ricominciare e così via.
Senza
in alcun modo rivelare la fine, si può dire che
la magia interviene nel film in maniera decisamente inaspettata…
L’idea è che la magia sia un altro trucco,
il culmine dei trucchi che avvengono nel mondo della televisione
e dell’editoria. In un universo fatto di illusioni
ed effetti, la salvezza può apparire solo come
un ennesimo trucco. Il titolo originale, che fa anch’esso
riferimento alla magia, potrebbe sembrare allegorico,
anche se in realtà non lo è affatto… |