Infamous - Una pessima reputazione
Infamous
Regia
Douglas McGrath
Sceneggiatura
Douglas McGrath
Fotografia
Bruno Delbonnel
Montaggio
Camilla Toniolo
Scenografia
Laura Ballinger
Costumi
Ruth Myers
Musica
Rachel Portman
Produzione
Signature Pictures
Interpreti
Toby Jones, Sandra Bullock, Gwyneth Paltrow, Daniel Craig, Sigourney Weaver, Jeff Daniels, Isabella Rossellini, Hope Davis, Peter Bogdanovich
Anno
2006
Genere
drammatico
Nazione
USA
Durata
118'
Distribuzione
Warner Independent Pictures
Uscita
12-01-07

Si scrive Infamous ma si legge Capote. E intendo il Capote di Bennet Miller, il film con Philip Seymour Hoffman su Truman Capote uscito un anno fa. E’incredibile ma ad Hollywood può succedere che non ci siano idee per un decennio e allora si tende a rifare quello che è già stato fatto in passato (il terribile trend del remake) oppure come in questo caso che due sceneggiatori scrivano la stessa storia a distanza di un mese. Il paradosso vuole che i due manoscritti siano pressoché identici e contemporanei ma solo uno sia stato letto in tempo da Bingham Ray, produttore di Nicholas Nickleby, precedente film di McGrath. E purtroppo per McGrath non è stato il suo ad avere la precedenza ma quello di Dan Futterman. Poco male tanto a produrglielo ci ha pensato la Killer Films, la stessa che ha prodotto tanti grandi film indipendenti come Far from heaven, Happiness e Boys, Don’t Cry. E la Warner Indipendent a distribuirglielo.
La trama del film è dunque la stessa di Capote: un feroce massacro perpetrato ai danni dei Clutter, una famigliola di contadini del Kansas, suscita l’interesse del grande scrittore newyorkese Truman Capote tanto da spingerlo a trasferirsi sul luogo del delitto per indagare sul caso. Il rapporto che instaurerà con i due criminali responsabili del truce omicidio gli permetterà di scrivere il suo romanzo In Cold Blood ma ne segnerà anche l’inarrestabile declino.
Non c’è molto da aggiungere: Capote, qui interpretato da un sublime Toby Jones che non fa rimpiangere Seymour Hoffman, è diviso tra le fisime maniacali per il gossip metropolitano e la naturale predisposizione all’ascolto della cronaca dei fatti. E’ forse accentuato l’aspetto più ammaliante del suo carattere, la sua inconfondibile (auto)ironia, dote che gli ha permesso di sopravvivere in mezzo ai grandi, lui che proprio grande non era (fisicamente intendo).
Il film di McGrath è più un film sull’uomo Capote che non sui fatti che lo spinsero a scrivere il suo bestseller. McGrath tende a spiegare tutto quello che nel film di Miller veniva solo accennato o semplicemente lasciato intendere. Nel rapporto intimo tra Capote e Perry Smith, uno dei due assassini, si fa riferimento apertamente ad un irresistibile omoerotismo tra i due e ad un presunto travisamento da parte di Capote della strana relazione che si è costruito. Smith lo chiama sempre amico Truman e Capote racconta invece che si amavano. C’è quasi una sorta di distorsione della realtà, una distorsione legata alla passionalità di due uomini soli che per la prima volta nella vita si sentono reciprocamente amati. Il compagno di Capote parla addirittura di tradimento sostenendo che si era innamorato di Smith e non semplicemente invaghito come spesso succedeva ad entrambi nel corso della loro routine amorosa di coppia aperta. Scavando nella psicologia dei due assassini Capote scava dentro se stesso, rivive i suoi traumi e si avvicina ai (con)dannati. Compromette se stesso e la propria carriera senza sapere se ne valga davvero la pena. Certo, In Cold Blood è un capolavoro ma a che prezzo? Dopo l’incontro con Smith la sua vita non è stata più la stessa. E come dice nelle ultime battute del film l’amica del cuore di Capote, Harper Lee, la sera dell’esecuzione dei due assassini non furono due ma tre i morti.
[marco catola]



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