‘Signor quadro’ (Daniel Auteuil) e ‘signor
prato’ (Jean-Pierre Darroussin) si conoscevano dai tempi
della scuola, ma poi la vita li ha separati. Uno è
andato a Parigi a studiare l’arte, l’altro è
rimasto nel paesino nei pressi della capitale, a lavorare
come ferroviere. Le loro vite si incontrano di nuovo quando
signor quadro torna alle sue radici nella casa dell’infanzia.
Non ha né le capacità né l’energia
di occuparsi del terreno intorno alla casa e mette un annuncio
per trovare un aiuto sul posto. Per puro caso il primo candidato
è il giardiniere fatto apposta per lui. I due tornano
immediatamente ad essere amici, rivivono momenti del passato
in comune (come lo scherzo al maestro che festeggia il compleanno
soffiando su una candelina impropria), ma anche il presente
diventa motivo di unione, di fratellanza e amicizia.
Il sistema di valori del giardiniere è semplice, comune.
Come uomo è appagato dalla vacanza sempre uguale a
Nizza con la “signora moglie”; il suo sistema
di valori ruota intorno ad un unico semplice criterio che
applica per giudicare le persone e le cose: il buonsenso.
La vita dei due diventa allora un miscuglio di famiglie, esperienze,
carote e zucche, vita e morte, viaggi in aereo, gusti, colori,
coltelli e spago. Vedendo ogni cosa attraverso gli occhi dell’altro,
ognuno scopre un mondo nuovo.
Dal punto di vista registico, la pellicola non riserva particolari
sorprese: la cinepresa è fissa, le inquadrature servono
solo a dare rilievo allo splendido paesaggio, alla luce naturale
e alle espressioni degli attori. Ha dichiarato Jean Becker:
“Ho girato con due macchine da presa e usando inquadrature
diverse: primi piani, piani americani e campi lunghi. Sia
per avere il numero maggiore di opzioni in fase di montaggio
e sia perché in un film come questo, secondo me, la
regia deve essere discreta, poco invadente. Devi seguire i
personaggi, stare con loro, vicino a loro”.
Dal canto loro, Auteuil e Darroussin risultano molto affiatati,
riuscendo a donare allo spettatore la piacevolezza della quotidianità.
“Non so se ci completiamo – precisa il protagonista
de Il mio migliore amico
di Patrice Leconte -, perché secondo me ci somigliamo
parecchio. Siamo tranquilli e abbastanza riservati, sappiamo
qual è il nostro posto e che cosa dobbiamo fare per
raccontare bene una storia. Se ci completiamo è perché
sappiamo che per dare il meglio dobbiamo stabilire un rapporto
di collaborazione che funzioni - cioè la mia recitazione
deve seguire la sua e viceversa, perché le cose procedano
con naturalezza”. [valentina
venturi]