“L’inganno
più grande per il Diavolo è quello di fare credere
di non esistere.” Con questa affermazione si chiudeva
I soliti sospetti dove la figura di Kaiser Sose era
stata costruita per celare la vera identità di colui
che commissionava delitti, furti utilizzando piccoli delinquenti
sacrificabili.
Dunque se il proprietario di un’azienda informatica
decide di venderla ad insaputa dei suoi soci e dipendenti
e non volendo perdere il loro affetto, perché non inventarsi
una figura su cui riversare tutte le decisioni più
impopolari e dolorose? Il grande capo appunto, impersonato
all’occasione da un attore fallito pronto ad essere
sacrificato e dileggiato al pubblico ludibrio.
Questo l’assunto sul quale il regista Lars von Trier
torna al cinema e per la prima volta ad cinema leggero, trattansi
di una commedia, dopo il secondo capitolo della trilogia americana
Manderlay.
Un ritorno alle origini, con un cast di misconosciuti ma convincenti
interpreti ed un budget ridottissimo per un film piccolo incapace
però di contenere l’ego spropositato del suo
autore. Dopo infatti aver inventato il Dogma 95 per rinnegarlo
poco dopo, Lars von Trier non contento di mettere in scena
una commedia semplice semplice ed a tratti ripetitiva in particolar
modo nel lungo finale che fatica a trovare conclusione, pretende
di confermare la sua “aurea” di autore con l’utilizzo
di un macchinario computerizzato a cui delega il compito di
scegliere le inquadrature del film. L’Automavision è
infatti una regola per girare film (e registrare suoni) sviluppata
con l’intento di limitare l’influenza umana. Una
volta che il direttore della fotografia ha deciso la migliore
posizione e apertura della cinepresa fissa dal punto di vista
artistico, viene chiesto ad un computer programmato con una
formula a gamma limitata di fornire una lista di possibilità
da applicare: panoramiche, obiettivo, apertura, posizionamento
verticale e orizzontale, per il suono viene redatta una lista
corrispondente di possibilità: filtraggio, livello,
ecc. da utilizzarsi una volta che il direttore del suono ha
operato le sue scelte. Il risultato è un montaggio
dominato dall’elemento della casualità in cui
gli attori sono spesso relegati ai margini dell’inquadratura,
tagliati dalla cornice della stessa in un inutile esercizio
di stile. L’avesse fatto un pincopallino qualunque sarebbe
stato lapidato, avendolo girato il “maestro” von
Trier si griderà al genio, come accadde per l’assenza
di scenografie nel dittico americano. Continuiamo così,
facciamoci del male…
| sito
| trailer
| intervista
a lars von trier |