Nel suo racconto all’inizio
de Il Grande Capo afferma che questa è una commedia
innocua. Può un film di Lars Von Trier essere
mai davvero innocuo?
Ho sentito che volevo dire quella cosa. Sono stato criticato
per essere troppo politico e forse mi sono autocriticato
per questo… per essere troppo corretto politicamente,
in realtà. Questo è un film che è
stato fatto in poco tempo. Non è un film politico
e mi sono divertito a farlo ma, ovviamente, le commedie
buone non sono innocue.
È stato bello
girare di nuovo in danese?
È stato molto liberatorio e mi sono sentito bene.
Mi trovo meglio con il danese. Non sto dicendo che in
futuro farò solo film in danese, ma è
stato bellissimo fare un piccolo film con una piccola
troupe. Mi sono molto rilassato.
Il film è stato
presentato al Festival di Copenaghen. Non ha fatto in
tempo per Cannes?
È stata una scelta quella di non fare domanda
per Cannes. Sono stato molto contento per i miei altri
film che sono stati lì in passato e Gilles Jacob
ha fatto molto per me, ma è così bello
non dover fare tantissime cose che non ti piacciono
– come il viaggio, la pressione esercitata su
di te il festival. Me ne sto qui in Danimarca che è
molto bella, soprattutto a maggio quando devo curare
le mie verdure.
Come le è venuta
l’idea di fare una commedia?
Ho avuto l’idea sul finto capo di una società
veramente molto, molto tempo fa, ma all’inizio
pensavo di farlo fare a qualcun altro. L’idea
è vecchia ma è stata scritta poco prima
di iniziare le riprese.
Qual è il segreto
per fare una commedia di successo?
L’unica cosa che puoi fare è qualcosa che
tu stesso trovi divertente e che ti intrattenga.
Come definirebbe il senso
dello humour danese?
Una caratteristica è che i danesi amano sentirsi
dire che sono degli stupidi. Forse perché è
un paese piccolo e la gente è molto masochista.
In The Kingdom si divertivano
moltissimo quando la gente parlava degli stupidi danesi.
Da queste parti quando gli islandesi urlano e dicono
loro cose orribili, lo apprezzano moltissimo.
Nel film, si avverte
chiaramente una tensione tra la società danese
e la società islandese che la vuole comprare.
Cosa sta accadendo in questo periodo tra la Danimarca
e l’Islanda?
Il fatto è che ci sono moltissime persone islandesi
che in questo periodo stanno acquistando a Copenaghen.
Per 400 anni, l’Islanda è stata sotto la
corona danese. Tutti gli islandesi odiano i danesi in
questo senso. Si sono affrancati dai danesi. C’è
questa cicatrice, dovuta a questi 400 anni che giustamente
è sempre lì.
Lei è il fondatore
di Zentropa ed è un regista. Anche lei si sente
come il capo de Il Grande Capo?
L’idea del poliziotto cattivo e del poliziotto
buono è un modo molto efficace per risolvere
i problemi. Qui con me e Peter Aalbæk Jensen,
a Zentropa, abbiamo un poliziotto buono e uno cattivo.
Se c’è da trattare con gli attori e la
troupe allora io sono il poliziotto buono, ma ci sono
casi in cui io sono quello cattivo e Peter quello buono.
È molto poco danese essere un poliziotto cattivo.
Tutti in Danimarca vogliono essere i poliziotti buoni,
ma quelli cattivi sono una figura necessaria. Se vai
in America o in Inghilterra, i poliziotti cattivi ci
sono perché c’è bisogno di loro,
ma i danesi temono moltissimo il conflitto.
Il film può essere
letto come un’allegoria di Zentropa?
Questo è quello che hanno detto gli attori, ma
io non ci avevo pensato. Con Zentropa la mia idea era
solo di poter produrre e controllare le cose che dirigevo.
Peter Aalbæk Jensen ed io siamo un po’ strani.
Penso che possa essere divertente lavorare a Zentropa.
Non si tratta solo di un’altra società
di produzione. Non c’è una chiara idea
dietro di essa. È più una cosa intuitiva.
Non siamo stati educati a dire che i soldi che entrano
sono la cosa più importante.
Il film si basa molto
sul dialogo. Ha deliberatamente evitato delle gag visive?
Quando ero ragazzino, ho visto molte commedie “giro
di vite”. Mi piacevano le commedie come Susanna
e La strana coppia, con
molti personaggi. Mi piace Scandalo
a Phialdelfia e Scrivimi
fermo posta. Questo è quello che ho cercato
di fare, qualcosa di simile. Queste commedie “Giro
di vite” si basano sull’assunto che alcune
persone sanno qualcosa che gli altri non sanno. Sopra
tutto questo, ho messo una storia morale su come qualcuno
possa usare il proprio direttore fittizio di una società
per trattare malissimo i suoi dipendenti. Cosa che lo
ha portato ad un altro livello.
Ha avuto un produttore
nuovo, Meta Louise Foldager, dopo tanti anni passati
a lavorare con Vibeke Windeløv. È stata
una transizione difficile?
No. Niente affatto. L’intero film era pronto per
le riprese quando è arrivata Meta. È molto
brava, ma è diversa. Con Vibeke, è stato
come un matrimonio che doveva finire. Entrambi pensavamo
di sapere cosa intendesse dire l’altro senza bisogno
di parlarsi. Esattamente come nei matrimoni. Vibeke
è stata bravissima ma vuole fare qualcos’altro.
Cosa cerca in un produttore
ideale?
Ad ogni modo mi serviva un poliziotto cattivo. Prima
di tutto ho bisogno di qualcuno che voglia veramente
fare il film. Con Il Grande Capo
volevo un produttore che fosse felice con un piccolo
film quanto con uno grande.
Può dirci qualcosa
sull’utilizzo di questo nuovo procedimento, “Automavision”?
Per molto tempo i miei film sono stati tenuti alle redini.
Sono un fanatico del controllo e nessuno può
padroneggiare totalmente le inquadrature e le immagini.
Era più semplice saltare tutte le inquadrature
e optare per una camera a mano. Con Automavision, si
trattava di inquadrare prima l’immagine per poi
spingere un pulsante del computer. Questo ci avrebbe
fornito una serie di casualità. Non ero io a
tenere il controllo, ma il computer.
Abbandonare il controllo
della cinepresa dovrebbe essere quasi come abbandonare
un arto. Sicuramente non è una decisione che
ha preso alla leggera.
Oh, sì, l’ho presa con molta leggerezza.
Avevo bisogno di una forma che si confacesse alla commedia.
L’ho trovato un modo molto innovativo di lavorare.
Sono un uomo dalle mille brame, ma fare cose strane
con la cinepresa non fa parte di queste.
E come si è trovato
con questa tecnica?
La cosa positiva è che lo stile non è
uno stile umano. È privo di intenzioni. La regola
era che se non mi fossero piaciute le proposte del computer
avrei potuto rifiutarle ma poi avrei dovuto premere
nuovamente il pulsante. Non temevo tanto il fatto che
fosse impossibile fare il film, quanto piuttosto il
fatto che non sarebbe stato preciso. Abbiamo chiamato
il computer Anthony Dod Mantle (dal nome del vecchio
direttore della fotografia di Lars von Trier.) L’idea
originale era che avremmo dovuto nascondere la cinepresa
agli attori e filmarli attraverso un doppio specchio,
ma avevamo troppa poca luce. Non abbiamo potuto farlo.
Agli attori è
piaciuta questa tecnica?
Qualunque bravo attore può adattarsi in pochissimi
secondi. Abbiamo fatto le riprese con uno zoom e gli
attori non erano in grado di capire quale obiettivo
stessimo usando, ma comunque sarebbe stato meglio se
avessimo potuto nascondere la cinepresa.
Pensa che Automavision
sia uno stile che possa essere apprezzato dal pubblico?
Non è uno stile per cui il pubblico potrebbe
fuggire urlando. Il 70% degli spettatori non se ne accorgeranno
neanche. Ma non può essere utilizzato per le
riprese di animali. Abbiamo avuto l’elefante per
un quarto d’ora e abbiamo premuto e ripremuto
quel dannato pulsante all’infinito! Ogni volta
che avevamo un buon ciak, l’elefante si era già
allontanato dal set.
Cosa cerca in un attore
cinematografico?
Se un attore pensa di poter controllare la sua parte
in un film da solo, allora si sbaglia. Il montaggio
e l’intera produzione del film sono qualcosa che
non può controllare. Il montaggio è uno
strumento molto efficace. Penso che il miglior servizio
che si possa rendere ad un attore è farne uso.
Meno un attore è fisso prima delle riprese, meglio
è. Un trucchetto che uso è quello di riprendere
una scena in molti modi diversi. Ciò significa
che in fase di montaggio ho molto materiale diversificato,
maggiori sono le inquadrature e il modo di interpretare
le scene di un
attore e meglio è. Questo può creare qualche
confusione. Penso ci sia una grande differenza tra uomini
e donne. In qualche modo, le donne normalmente sono
più propense a credere che utilizzerai il materiale
nel migliore dei modi.
In passato ha affermato
di trovarsi meglio con le attrici che con gli attori.
Qui lei lavora con degli attori. Il capo avrebbe potuto
essere una donna?
La parte della commedia in The
Kingdom era condotta da uomini. Forse penso che
gli uomini siano più divertenti delle donne.
Poiché sono un uomo, è facile per me conoscere
le loro aspettative.
Ha mai visto la serie
inglese The Office?
Non l’ho guardata di proposito perché sapevo
che avrei fatto un film ambientato in un ufficio, ma
ora la vedrò. Ne ho sentito parlare molto bene..
Perché ha girato
in un ufficio vero?
Avevo dato un’occhiata al film di Antonioni, La
Notte. Volevo che fosse un posto molto triste.
E lo è.
Gambini, il drammaturgo
citato alla fine del film, esiste davvero?
No, non esiste. Stavo ritornando da Cannes e ho visto
un grande camion pieno di cibo che portava la dicitura
Gambini… e ho pensato “perché no?”.
Ma alludo a Ibsen. Ho pensato che fosse molto divertente
quando veniva chiamato stronzo. Puoi avere molte idee
su Ibsen ma l’idea che sia uno stronzo è
alquanto strana. Il film che guardano è Lo Specchio
di Tarkovsky. È uno dei miei preferiti in assoluto.
Penso di averlo visto venti volte.
Continuerà a fare
piccoli film?
Attualmente, ho delle idee gigantesche, ma al momento
sono solo idee. Vediamo che genere di film diventeranno.
Finire la trilogia (iniziata con Dogville
e Manderlay e da concludersi
con Washington) è
una di queste, ma non credo che accadrà adesso.
Adesso cammino per i boschetti con il mio iPod e sogno.