Il Caimano
id.
Regia
Nanni Moretti
Sceneggiatura
Nanni Moretti,
Francesco Piccolo, Federica Pontremoli
Fotografia
Arnaldo Catinari
Montaggio
Esmeralda Calabria
Musica
Franco Piersanti
Interpreti
Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Michele Placido, Elio De Capitani, Antonello Grimaldi, Paolo Sorrentino, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Anna Bonaiuto, Cecilia Dazzi, Matteo Garrone, Toni Bertorelli
Anno
2006
Durata
112'
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Distribuzione
Sacher Distribuzione

Concepito già qualche anno or sono dal regista d’adozione romana e volutamente annunciato per il pre-campagna elettorale, tenuto nascosto per mesi e blindata la visione in anteprima al Barberini di Roma, finalmente arriva in sala l’attesissimo lavoro di Nanni Moretti “intorno” al Presidente del Consiglio. Tagliamo subito la testa al toro, non è un film “su” Silvio Berlusconi. O almeno, lo è in parte.
L’ultimo film di Nanni Moretti è un “contenitore”: un calderone d’idee, sensazioni, delusioni, cadute, rapporti, storie e percorsi. La figura del Cavaliere prende corpo e forma assieme ai personaggi stessi, è un personaggio nei personaggi, appare e scompare a più dimensioni, a strati e livelli spazio-temporali. “Come potevano pensare molti che avrei fatto qualcosa di politico?! Non ho fatto e non avrei mai fatto un film di propaganda” sono le parole che l’autore sottolinea, “cinque anni fa sentivo di voler trattare un dolore familiare e l’ho fatto (La stanza del figlio n.d.r.), adesso sentivo il bisogno di raccontare un’attualità e così è stato”.
Il personaggio di Silvio Orlando è un produttore decadente che accetta, per credo e voglia di rivoluzione personale, di realizzare la sceneggiatura della giovane e sconosciuta interpretata da Jasmine Trinca. Si accorgerà solo successivamente che il plot narra le vicissitudini di Silvio Berlusconi, accusandolo gravemente di corruzione e sporchi giochi di potere. Anche il rapporto con la moglie, qui una dosata Margherita Buy, farà cadere ancor di più il produttore in una fase di regressione cronica, immobilità psicologica, salvato solo dal bellissimo rapporto con i due figli. Poi coraggio e una scelta professionale all’ultimo tuffo dopo alcune frenate, faranno il loro corso.
Dopo un inizio incerto e poco comprensibile, forse già troppo in corsa, come dando assurte situazioni che lo spettatore non ha ancora avuto modo di assorbire, il film si scioglie bene. Ritrova un suo ritmo, alterna momenti di sorriso ad altri di sconforto ed immedesimazione. I livelli sono molti: c’è il rapporto padre-figli, quello coniugale (che s’incrina sempre più), quello lavorativo e professionale (con la Trinca e i tecnici del film che verrà girato), quello personale, dell’autoanalisi, quello col cinema stesso, le sue magie e i suoi insormontabili problemi. A primo acchito è il solito Moretti, regia sobria, niente sperimentazioni, niente montaggi post moderni. Nonostante racconti storie grossomodo diverse ha tuttavia in mano sempre le tre cose che ama: le persone, il contesto e gli oggetti.
Come ne La stanza del figlio dove ripeteva prendendo in mano tazze e vasi di porcellana “è tutto rotto in questa casa, tutto sbeccato, tutto rovinato”, qua mette i figli in pozze di Lego a cercare pezzi introvabili, a montare e smontare cose, ideali e vite. Il gioco come ritorno all’infanzia e ai suoi momenti di tenera ingenuità, ma anche metafora di un’esistenza o di un lasso di tempo dove trovare i pezzi giusti è complicato, quasi impossibile, vite scomposte e rimontate, che spesso non tornano uguali ma si accomodano come vengono. “Giallo, piatto, da dodici. Papà non c’è, non lo trovo!”, riassemblarci richiede pezzi che talvolta non possediamo più.
Moretti fa della pellicola anche un manifesto d’amore al Cinema come entità, crea un film nel film, stranisce, si confonde e fa confondere tra quello “vero” e quello “fittizio”, usando come sempre intelligenza e semplicità. La Trinca come autrice cerca un attore che impersoni Silvio Berlusconi e chiede proprio a Moretti, che nella pellicola fa la parte di se stesso “Avevo pensato a lei per questa parte” – “No guarda, un film su Berlusconi, è scontato, ormai si sa tutto, non c’è più niente da sapere, non credo m’interessi” – “Ma se non ha ancora letto la sceneggiatura?!” – “Eh lo so, ma è un po’ come se l’avessi letta…”.
Moretti, durante gli anni Ottanta e Novanta è diventato il portavoce del “chiuso”, del cinema tra le quattro mura, girato in ambienti intimi, scarni e poco inclini alla luce (Ecce Bombo, Palombella Rossa). Poi è uscito allo scoperto nei recenti film, ma la voglia di chiudersi in luoghi protetti, dove nessuno possa arrivare è sempre forte. Orlando, distaccatosi dalla moglie, ospita i bambini in una camera d’albergo. Montano una canadese, poi tutti dentro e chiudono la cerniera. Non basta più rinchiudersi in una stanza, serve altro, serve altra protezione dall’esterno che bussa. Il vero Berlusconi appare due volte, in registrazioni, in scene dove la gente comune guarda alla tv e commenta: all’udienza del processo di Milano e alla Commissione Europea quando dette del “kapò” a Schultz. In una scena la Trinca si pone una domanda forse legittima “In America si fanno film drammatici e comici su Bush o il Capo di Stato, in Italia no, perchè?”. Moretti sembra risponderle indirettamente fuori dal set, ad una rarissima apparizione televisiva “Fa tenerezza vedere un governo che ha paura di un film dopo. E’ solo un film.”
Tirando le somme Il Caimano (termine derivato dal libro omonimo di Franco Cordero) rompe le righe sotto certi aspetti, crea un precedente dal punto di vista politico-culturale prima mai segnalato. Non è un film di propaganda, ma un’intelligente ritratto di una storia d’attualità e di una certa crisi di valori (anche cinematografici) dove si evince che per Moretti il Cavaliere non è esente da colpe e quando, durante le scene, il regista di Brunico picchia, picchia forte e senza esitazioni. Bravura o meno, è sicuro sintomo di coraggio. Il finale è molto dark, oscuro e quasi inquietante. Il caimano lascia macerie intorno a se, lascia nemici, lascia conflitti. Moretti qui unisce cinema, politica e sentimenti, stridendo in parte con quell’ironia politica e quel surrealismo che lo hanno reso noto in passato e che lasciano probabilmente il segno più a lungo. Ma a volte prendersi sul serio è un obbligo per chi ci sta ad ascoltare e un nostro diritto. In un’epoca dove la notizia è alterata e i giornalisti stanno sparendo o diventano anchorman di spettacolo (Bruno Vespa), dove i comici fanno la vera informazione (Beppe Grillo) e in TV regna solo il patinato sorriso di plastica di gente con troppa aria nell’encefalo, dove ci drogano gli occhi e c’imboniscono il cuore per non pensare alla realtà che ci circonda, è bene stare all’erta. Siamo il partito di noi stessi, qualunque partito (non) ci rappresenti, perché “Non ci sono santi” (Gabriele Romagnoli, Mondadori, 211 pp., 15€, consigliatissimo). Tra poco le elezioni potrebbero avere un finale a sorpresa quanto quello del film. Tutti alle urne e buon voto. [alessandro antonelli]