Happy family
id.
Regia
Gabriele Salvatores
Sceneggiatura
Alessandro Genovesi,
Gabriele Salvatores
Fotografia
Italo Petriccione
Montaggio
Massimo Fiocchi
Scenografia
Rita Rabassini
Costumi
Patrizia Chiericoni
Musica
Louis Siciliano
Interpreti
Fabio De Luigi, Fabrizio Bentivoglio, Diego Abatantuono, Margherita Buy, Carla Signoris,
Valeria Bilello, Corinna Augustoni, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci, Sandra Milo
Produzione
Colorado Film, Rai Cinema
Anno
2010
Nazione
Italia
Genere
commedia
Durata
90'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
26-03-2010
Giudizio
Media

Cosa succede quando un ragazzino di sedici anni della tipica famiglia della Milano bene decide di chiedere la mano ad una coetanea dalle origini opposte, rappresentante a sua volta dell’altra tipica famiglia italiana allegra e pasticciona, piena di difetti ma dal cuore d’oro? Questo è il soggetto che viene in mente a Ezio, uno sceneggiatore provetto di trentotto anni erede di una fortuna non indifferente, che non avrebbe bisogno di scrivere per vivere.
Come il single di Nick Hornby portato al cinema da Hugh Grant in About a boy, che campava grazie ai diritti di una canzoncina di Natale, anche Ezio deve il suo benessere al dosatore per lavatrici, brevettato dal padre. In Italia difficilmente i figli depongono i padri dagli scranni del potere, ma piuttosto cercano di guadagnarne il più possibile senza produrre nulla di nuovo. Ezio, sfaccendato e disilluso gira in bicicletta in cerca di ispirazione in una Milano d’estate surreale e a tinte unite per merito della fotografia immaginifica di Italo Petriccione, finché non incrocia sulla sua strada uno dei personaggi della commedia che sta scrivendo: la madre della famiglia borghese e perbenista che lo investe mandandolo in ospedale. A quel punto realtà e immaginazione si confondono e si mischiano e lo spettatore non sa più se quella che sta guardando è la storia di Ezio o delle due famiglie milanesi e quale delle due è inventata o realmente vissuta, seppure attraverso il filtro della macchina da presa. Siamo dentro o fuori dallo spettacolo? Ne siamo semplici osservatori o ne siamo i protagonisti noi stessi? Questo è il trucco del cinema e più in generale della rappresentazione fin dai tempi di Shakespeare e Pirandello.
Grazie al tono da commedia, adottato da Genovesi prima e da Salvatores ora, il passaggio è assolutamente indolore e non genera nel pubblico alcun tipo di smarrimento o peggio di ansia da mancanza di punti di riferimento.
Per sdebitarsi del danno, Anna invita a cena Ezio proprio la sera in cui Filippo domanderà ufficialmente in sposa Marta, davanti ai suoi genitori, scatenando equivoci a non finire. Se per Tolstoj “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ma le famiglie infelici sono infelici a modo loro”, per Salvatores l’assunto diventa un messaggio di speranza, in cui la felicità dovrebbe essere un po’ all’americana un diritto sancito dalla Costituzione. Mentre il matrimonio adolescenziale naufraga ancor prima di vedere la luce per colpa della promessa sposa che si rifiuta di legarsi ad un coetaneo che parla e si atteggia come un quarantenne ma che in realtà non conosce nulla della vita e del sesso, al contrario le due famiglie si avvicinano per intraprendere un percorso di felicità comune. E sarà allora l’amicizia virile, autentico valore di tutta la poetica di Salvatores, a prevalere sull’illusione e sulla finzione dei rapporti uomo donna.
Adattando una commedia di successo di Alessandro Genovesi del Teatro degli Elfi di Milano, che fece da trampolino di lancio negli Anni Ottanta allo stesso Salvatores e a tutta una nuova generazione di autori e di comici, il regista cerca di tornare alle origini puntando tutto sulla coppia già collaudata Bentivoglio-Abatantuono e affidando al loro erede ideale, Fabio De Luigi, il ruolo nevralgico di collante per i migliori spunti comici del film. Ma è un palese tentativo di rifarsi dopo gli ultimi insuccessi di Quo vadis, baby? e Come Dio comanda. Salvatores quindi ripiega sulla strada già battuta di Turné e Marrakech Express, inserendo i motivi che gli sono più cari all’interno di un genere di facile presa.
Dalla nostalgia per un passato che non tornerà più, gli anni sessanta della colonna sonora di Simon & Garfunkel e dello stile scenografico, alla fuga verso un sud più sognato che realmente raggiunto, Salvatores si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza, rassicurante e protetto, senza mai mettersi in gioco e confrontandosi con l’altro da sé. Ne esce una commedia ben confezionata e tirata a lucido tra il film natalizio di Aldo, Giovanni e Giacomo e i duetti di Bentivoglio e Abatantuono che strappano ben più di una risata. [matteo cafiero]