Joe, professore
britannico e vedovo di fresco conio, si trasferisce con figlie
a seguito in quel di Genova, alla ricerca di aria e serenità
nuove. Con la città italiana a far da scenografia,
dovrà confrontarsi con il lutto suo e delle figlie
alla ricerca di una possibile riconciliazione famigliare.
L'impressione che lascia questo film è quella di una
buona idea non sfruttata fino in fondo, di una volontà
di ricerca linguistica e sperimentazione che rimane costantemente
appena accennata, sotto le righe. L'esile storia dell'elaborazione
del lutto famigliare è didascalica e non convince pienamente,
mentre si riconosce il tocco del regista di film come Road
to Guantanamo e Cose di questo
mondo nella narrazione che oscilla tra il finzionale
e il documentario, salvo poi tradirsi racconto nel climax
finale. Witterbottom non sembra capace di arrivare fino in
fondo alle sue scelte linguistiche. La cosa può essere
voluta, è vero, ma lascia comunque una sensazione di
incompiuto, di idea mal sfruttata, un po' come accadeva con
Tutta colpa di Giuda
del nostrano Ferrario.
L'impressione che lasciano anche alcune sue dichiarazioni
in conferenza stampa lasciano perplessi. Banalità come
“L'ho chiamato col nome della città, perchè
il luogo in cui si gira determina il film”, danno l'impressione
di un regista che non ha chiarissimo cosa sta facendo e perchè
lo sta facendo. Per carità, in presenza del talento
non è indispensabile una consapevolezza teorica, ma
se il primo non abbonda è il caso di lavorare almeno
sulla seconda.
Quello che rimane è un film riuscito a metà,
con un cast di buon livello che però si limita ad eseguire
meccanicamente gli ordini del regista senza far sentire i
personaggi (le due protagoniste son attrici giovanissime e
inesperte, ok, ma non parlo solo di loro) dando la finale
sensazione che anche il gruppo attoriale sia non adeguatamente
sfruttato. [davide luppi]