Il
romanzo da cui è tratto è stato un fenomeno
internazionale. Pubblicato in edizione economica nel 2003
a spese della stessa famiglia del suo giovanissimo autore
Christopher Paolini, si è rivelato un best seller con
ben 87 settimane di presenza nella classifica dei libri più
venduti stilata dal New York Times e per 21 mesi consecutivi
in quella dei libri per ragazzi della rivista Publisher’s
Weekly. Ha venduto nei soli Stati Uniti oltre 2 milioni e
mezzo di copie ed è stato pubblicato in ben 38 Paesi.
Il suo autore, oggi 22enne, appassionato da sempre di letteratura
fantasy (tra gli altri Jeremy Thatcher
e Dragon Hatcher di Bruce Covile,
Dune di Frank Herbert, Magician
di Raymond E. Feist, His Dark Materials
di Philip Pullman) ha iniziato a scrivere quella che si sta
rivelando come una trilogia come hobby, trasformato poi in
un pozzo di dollaroni, grazie alla moda riportata in auge
dal maghetto Potter e dal revival fantasy del Signore degli
Anelli, due pilastri di cui Paolini non era all’oscuro
e da cui a parecchio “citato”.
Eragon primo romanzo oggi trasposto in forma filmica, narra
la nascita del rapporto empatico che si instaura tra un giovane
cavaliere ed il suo drago (orribilmente, bisogna dirlo, doppiato
in italiano dalla sportivissima Ilaria D’Amico), indirizzato
sulla via della forza dal vecchio cavaliere Brom (in grigio
Jeremy Irons) ed osteggiato da un cavaliere oscuro e usurpatore
autoproclamatosi Imperatore, tale Galbatorix (John Malkovich),
spalleggiato da uno spirito nero come Durza (Robert Carlyle).
Si, effettivamente ricorda troppo a vicino qualcos’altro,
non è vero? George Lucas dovrebbe chiedere qualche
diritto d’autore (i primi 20 minuti della pellicola
sembra un Guerre Stellari ambientato
nel medioevo) ed anche gli eredi di Tolkien una telefonatina
a chi di dovere dovrebbero fare… tipo ad un avvocato.
Eragon infatti, messo in scena
in maniera opaca e sciatta dall’esperto di effetti speciali,
qui debuttante alla regia Stefen Fangmeier (Hook,
Casper, Twister,
La tempesta perfetta, Master
& Commander, Lemony
Snicket – Una serie di sfortunati eventi) sembra
un Signore degli Anelli lillipuziano,
a partire dal budget per finire all’approfondimento
psicologico dei personaggi (?).
Quello che aveva reso grande la trilogia tolkieniana, ovvero
la regia quadrimensionale di Peter Jackson, capace di muovere
la mdp all’interno dello spazio tridimensionale creato
dallo scrittore aggiungendo la dimensione emotiva che rivestiva
di epicità il tutto, in Eragon
manca completamente tanto tutto è scontato, prevedibile
e risolto in maniera sospettosamente frettolosa.
Di fronte a tale quadro anche attori del tutto rispettabili
come Jeremy Irons, in verità non nuovo ad impelagarsi
in opere senza capo ne coda, John Malkovich e Robert Carlyle,
il solo forse a salvarsi per l’ironia grottesca di cui
riveste il proprio personaggio, finiscono per naufragar in
questo denso mar… [fabio
melandri]
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